Dossier: La preghiera

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    Roberto Mezzana

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    Che cosa significa pregare?


    Vi è molta ignoranza e confusione circa la preghiera. Che è molto di più di una serie di richieste o di ringraziamenti. Pregare significa innanzitutto abbandonarsi completamente alla volontà di Dio, per seguire Cristo con assoluta fiducia, spinti da un amore irriducibile.




    Quando parliamo di preghiera pensiamo subito all'uomo in atteggiamento umile che chiede a Dio qualcosa, e in generale questo qualcosa risponde al soddisfacimento dei propri bisogni. Questo di per sé non è sbagliato: Gesù stesso nel Vangelo ci ha chiesto di bussare, di chiedere, di domandare anche il pane quotidiano.




    Il significato principale
    Ma la natura della preghiera è altra: essa presuppone il nostro incontro con Dio, a prescindere da quello che possiamo chiedere o ricevere. È un bisogno prima di tutto dell'anima di unirsi al suo Creatore, al suo Padre, al suo Tutto.
    La preghiera è rischiosa: dopo un po' ci accorgiamo che Dio è persona e che ci chiede qualcosa, e forse qualcosa che non ci aspettiamo, e forse nemmeno desideriamo. La nostra natura si ribella a volte alle richieste di Dio, e per questo è più facile "anticipare" Dio con le nostre richieste, e quindi non ascoltarlo, non renderci docili prima di tutto alla sua presenza.
    Nei racconti dei Chassidim si racconta di quel rabbino ebreo che prima di iniziare la preghiera andava a salutare la moglie, ad abbracciare i figli, e a chi gli domandava il perchè di questi atteggiamenti egli rispondeva: «Sto andando a pregare: non so come tornerò, e se tornerò».
    Così deve essere il nostro primo atteggiamento. Scrive Abraham Joshua Hescel (1907-1972), uno dei maggiori studiosi dell'ebraismo e docente di mistica ebraica: «Non è corretto descrivere la preghiera come il discorrere tra gli uomini; noi non comunichiamo con Dio: ci rendiamo comunicabili a Lui. La preghiera è effusione del cuore davanti a Dio: non è rapporto tra due soggetti, ma è il tentativo di diventare oggetto al suo pensiero. Per colui che pensa, Dio è un oggetto, per l'uomo di preghiera Egli è il soggetto. Quando ci troviamo in presenza di Dio ci sforziamo non di acquisire una conoscenza oggettiva, ma piuttosto di rendere più profonda la fedeltà tra noi e Dio. Ciò che desideriamo non è conoscere Lui, ma essere conosciuti da Lui».
    Strano a dirsi: nella preghiera l'iniziativa è di Dio. È Lui che ci chiama, che ci vuole, che ci attira. Egli ha bisogno di noi perché ci ha creati e vuole donarci il suo Amore divino. La preghiera allora non è che la risposta dell'uomo.
    Don Divo Barsotti (1914-2006) iniziava sempre la sua giornata con due preghiere; la prima era: «Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo», tratta dal Deuteronomio, e la seconda era: «"Padre nostro, che sei nei cieli...". Questo significa: prima l'ascolto, poi la risposta. Nell'ascolto io imparo che Dio è Uno solo, e nella riposta dico subito: Padre mio...».




    Nelle altre religioni
    Da qui viene l'assoluta diversità della preghiera cristiana da quella nelle altre esperienze religiose. I musulmani pregano prostrati a terra semplicemente come atto di adorazione, riconoscendo la sovranità assoluta di Dio, ma Dio (AI/ah, per loro) non li considera: Egli non li conosce. Egli non può conoscere né tanto meno amare, perché non ha alcun rapporto con l'uomo. Per non parlare dell'induismo, del buddismo e delle religioni asiatiche. Lì è tutto impersonale: c'è una divinità vaga, totalmente impersonale: un "io" divino non esiste, e il centro è sempre l'uomo. Non così tra noi e Dio. Dio si è fatto carne, ha parlato, ci conosce e ci ama, vuole qualcosa da noi, e questo è assolutamente sconvolgente. Quando il beato Charles de Foucauld (1858-1916) capì questo, da ateo che era in un istante solo scelse di entrare nella Trappa e poi di andare a vivere nel deserto: non poteva sopportare di interporre tra lui e Dio altra cosa che potesse distrarlo da questo amore.
    In un certo senso, a un Dio impersonale puoi far dire quello che vuoi, e continuare a vivere la tua piccola vita, organizzarti tu un sistema morale più o meno buono, e vivere secondo tale legge umana, mentre se Dio è persona, significa allora che tu ti rendi disponibile a Lui, e Lui ti può chiedere di tutto.
    Per pregare occorre pertanto l'atto di fede iniziale che ci metta in relazione con Dio, il Dio del roveto ardente di Mosè, il Dio che parlò ad Abramo, il Dio che si fece uomo e ci chiese di seguirlo e di lasciarsi amare da Lui. Scrive don Divo Barsotti: «La preghiera è possibile perché è Dio che ha preso l'iniziativa. Dunque, è Lui che prega. La nostra preghiera presuppone Lui. Non potremmo parlare a Dio senza che prima Lui parli a noi, e la nostra preghiera tanto più è vera quanto più noi sentiamo che è Lui il primo che parla, il primo che entra nella nostra vita, e ci dà speranza, ci viene in soccorso, ci conosce e ci ama. È la fede che ci dà la possibilità della preghiera».




    Fiducia completa
    L'uomo di preghiera dunque si "lascia fare" da Dio, e si fida di Lui. Questa è la grande sfida della preghiera cristiana, ed è anche questa la carenza che si può vivere nel nostro rapporto con Dio: la mancanza di fiducia in Lui. Abbiamo paura che il Signore ci chieda dei sacrifici, delle rinunce, qualcosa che non concordi con le nostre scelte di vita... e allora è meglio che Dio non parli proprio. Non a caso in apparizioni private ad anime sante come su or Faustina Kowalska (1905-1938) o suor Josefa Menendez (1890-1923), il Signore si rammarica proprio della mancanza di fiducia da parte dei cristiani.
    «Non contano nemmeno i peccati - dice Gesù alla Menendez - se l'anima subito si rivolge con fiducia illimitata in me». «Ciò che mi ferisce di più - rivela alla Kowalska - è proprio la mancanza di fiducia da parte dei cristiani, soprattutto delle anime consacrate».
    Gesù stesso ha conosciuto questo passo della fiducia nella sua vita visibile, proprio nel momento terribile della Passione: nel Getsemani Egli prega, sì, prega il Padre che Egli allontani da Lui il calice del dolore. Poi si accorge che anche il Padre prega: prega il Figlio di accettare il calice, perchè da questo ne sarebbe venuta la salvezza del genere umano.
    Ma se l'uomo dà questa piena fiducia a Dio, sapendo che tutto quello che Egli chiederà è il nostro vero bene, perché ci ama, allora tutto diventa semplice. È come nell'amore: quando si è innamorati, basta che l'altro sia, e siamo disposti a tutto per dargli gioia. L'incontro di Dio con l'uomo è per la gioia dell'uomo. Se solo si capisse questo, il problema sarebbe non quando pregare, ma quando smettere di pregare. La preghiera allora è questione di un istante, e quell'istante è tutto: consegnare totalmente noi stessi a Dio in uno slancio di fiducia illimitato, e rimanere quieti in silenzio davanti a Lui.




    Le parole nella preghiera
    Certo, la preghiera è fatta anche di parole, perché non esiste un amore muto. Allora saranno parole di richiesta, di lode, di supplica, di lamentela, di adorazione, di ringraziamento. di tutto quello che volete, ma sempre con quella base di fiducia che l'uomo dà al suo Signore, lasciandogli quello spazio interiore in cui Dio stesso imprime nei nostri cuori le Sue parole, che sono parole di amore, di speranza, di comunione, di pace profonda. Parole di fuoco.
    In questo senso la preghiera è di natura assolutamente contemplativa.
    Nel silenzio del nostro cuore finalmente disponibile Dio parla; nel silenzio.
    L'uomo si effonde in Lui e risponde, come gli viene di rispondere: a quel punto qualunque cosa dice va bene, perché è il figlio che parla al Padre.
    Una volta in una parrocchia mi fu chiesto di guidare un'ora di adorazione.
    Volevo impostare tale momento con tre quarti d'ora di silenzio e un quarto d'ora di preghiera vocale. Il parroco mi disse che i suoi parrocchiani non avrebbero sopportato tanto silenzio, che si sarebbero distratti; allora proposi di fare mezz'ora e mezz'ora. Neanche quello fu accettato. Alla fine ottenni di poter fare dieci minuti iniziali di silenzio e cinquanta minuti di canti e preghiera vocale. E mi sembrò poi che anche in quei dieci minuti non si riuscisse a fare spazio al Signore che voleva dirci qualcosa.
    Le esigenze di Dio non sono standardizzate. Egli ci fa conoscere il mondo dell'amore man mano entriamo in questa complicità di fiducia, e al termine ci può chiedere anche di portare la Sua croce, per salvare il mondo.
    Infatti, sono proprio i cristiani che, con la loro offerta e preghiera, salvano ancora il mondo. Chi salva è Dio, ma generazione per generazione attraverso di noi. Il modo migliore per amare il prossimo è proprio pregare per lui, perché il Signore lo perdoni dei peccati e lo purifichi, e per ottenere questo il mezzo è la partecipazione al Sacrificio della croce. Ma anche questo non è imposto mai: è accettato e vissuto nella preghiera e nella fiducia.
    La preghiera intesa in questo modo, infine, dà gioia. Un'anima così abbandonata a Dio nella preghiera conoscerà una pace interiore che la sorprenderà. San Serafino di Sarov (1759-1833), il grande monaco russo, era meravigliato che tantissimi andassero da lui per parlargli, per cercarlo, per chiedergli una parola. Lui stesso non sapeva spiegarsi come mai tante persone, anche professori e nobili, andassero da lui, povero illetterato. E spiegava: «Basta trovare la pace del cuore, e migliaia attorno a te vengono, e trovano salvezza». Non diceva però che per trovare questa pace interiore egli aveva trascorso tutta la vita in questo pellegrinaggio interiore verso il proprio cuore, dove viveva il Signore Gesù, più intimo a noi di noi stessi, e aveva passato tutte le sue giornate invocando il suo dolcissimo e santissimo nome: «Signore Gesù, abbi pietà di me peccatore!».








    BIBLIOGRAFIA



    Fra le opere di don Divo Barsotti:
    La preghiera: lavoro del cristiano, San Paolo, 2005.
    Introduzione al Breviario. Lo spirito della liturgia delle ore, San Paolo, 2006.
    Ascolta o figlio. Commento spirituale al Prologo della Regola di San Benedetto, Fondazione Barsotti, 1998.
    Il Mistero della Chiesa nella liturgia, San Paolo, 2007.









    I consigli di san Pio X




    «Che cosa deve fare un buon cristiano la mattina appena svegliato? Un buon cristiano, la mattina appena svegliato, deve fare il segno della Croce ed offrire il cuore a Dio, dicendo queste o altre simili parole: Mio Dio, io vi dono il mio cuore e l'anima mia».
    (Catechismo Maggiore promulgato da san Pio X, n. 972).




    «Levato e vestito, che cosa deve fare un buon cristiano? Un buon cristiano, appena levato e vestito, deve mettersi alla presenza di Dio, e inginocchiarsi, se può, dinanzi a qualche divota immagine, dicendo con devozione: "Vi adoro, mio Dio, e vi amo con tutto il cuore; vi ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte; vi offerisco tutte le mie azioni, e vi prego di preservarmi in questo giorno dal peccato, e di liberarmi da ogni male. Cosi sia". Reciti quindi il Pater Noster, l'Ave Maria, il Credo e gli atti di Fede, di Speranza e di Carità, accompagnandoli con vivo affetto del cuore».
    (Catechismo Maggiore promulgato da san Pio X, n. 974).




    «Quali pratiche di pietà dovrebbe ogni giorno compiere il buon .cristiano? Il cristiano, potendolo, dovrebbe ogni giorno: 10 assistere con devozione aUa santa Messa: 20 fare una visita, anche brevissima, al 55. Sacramento; 30 recitare la terza parte del santo Rosario».
    (Catechismo Maggiore promulgato da san Pio X, n. 975).




    «Che cosa si deve fare prima di lavorare? Prima di lavorare, si deve offrire il lavoro a Dio, dicendo di cuore: "Signore, vi offerisco questo lavoro: datemi la vostra benedizione».
    (Catechismo Maggiore promulgato da san Pio X, n. 976).




    «Che cosa convien fare prima di prender cibo?
    Prima di prender cibo, stando in piedi, conviene fare il segno della santa Croce e poi dire con devozione: "Signore Iddio, date la vostra benedizione a noi e al cibo che ora prenderemo per mantenerci nel vostro servizio».
    (Catechismo Maggiore promulgato da san Pio X, n. 978).




    «La sera, prima di andare a riposo, che cosa convien fare? La sera prima del riposo, convien mettersi, come al mattino, alla presenza di Dio, recitare divotamente le stesse orazioni, fare un breve esame di coscienza e domandare perdono a Dio dei peccati commessi nella giornata».
    (Catechismo Maggiore promulgato da san Pio X, n. 984).

    P. Serafino TOGNETTI
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    La preghiera nella Chiesa


    Adorare, lodare, benedire, ringraziare, intercedere... sono diverse le forme della preghiera. Sia essa personale o liturgica. L'esempio dei santi.




    La Chiesa è il corpo di Cristo, come dice san Paolo: «Egli [Cristo] è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa" (Col 1,18). Pur essendo, come il corpo, costituita da molte membra, la Chiesa è Una ed è unita inscindibilmente al suo Signore che è il Capo. Il primato di Cristo, questa signoria che è il suo Regno, Egli lo estende a tutto il mondo per mezzo della Chiesa, prefigurata nell'Antico Testamento, e in essa dilata la preghiera che è comunione con Lui e che diviene autentica preghiera cristiana perché trova in Lui la propria origine. La preghiera, che è il tratto più profondo e rivelativo del rapporto tra Gesù e il Padre, viene donata alla Chiesa la quale risponde all'amore del Signore mediante il proprio amore e il proprio desiderio, manifestando pienamente al mondo ciò che essa è, ciò che essa crede.




    La preghiera nella Chiesa
    Attraverso la Tradizione, che è comunicazione e trasmissione vivente di Gesù Cristo e del suo insegnamento (si può dire che è la Chiesa la viva Tradizione), lo Spirito Santo insegna la preghiera nella Chiesa: lo Spirito di Cristo ci suggerisce come pregare e cosa domandare e ci dona la libertà di pronunciare: «Abbà, Padre» (cf. Rom 8,15; Gal 4,6) ponendoci, come figli adottivi, in relazione con Dio. Questa comunione avviene massimamente nella liturgia, opera di Dio, in cui «Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua Sposa amatissima, la quale prega il suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all'Eterno Padre» (Concilio Vaticano II, Costituzione Sacrosanctum Concilium, 7). La Liturgia, esercizio del culto divino, realizza e manifesta la Chiesa come segno visibile di tale comunione tra Dio e gli uomini.
    Non si può, allora, cercare e trovare la fonte della preghiera nella Chiesa se non in Gesù Cristo: Egli prega il Padre, spesso nel silenzio della notte e prima di ogni decisione importante o scelta decisiva, e diviene per noi sorgente e modello di preghiera. Pensiamo alla Sua preghiera nel Battesimo (cf. Lc 3,21), prima della vita pubblica nei 40 giorni di deserto (cf. Lc 4), prima della scelta degli Apostoli (cf Lc 6,1213), prima della sua Passione (cf Lc 22,39-46)... Così, in Cristo, Dio manifesta il proprio volto: l'uomo si comprende ed è compreso solo nella relazione personale con Dio e tale relazione ha il suo luogo principale nella preghiera, la quale diventa un ascoltare e un parlare con Dio che rivela l'uomo a sé stesso. Pregando, l'uomo compie un atto "divino", perché entra in comunicazione con Dio, si abbandona a Lui e si lascia amare da Dio per amare i fratelli. Quale povertà la mancanza di preghiera nell'uomo! Quale aridità l'assenza di una vita spirituale: Gesù ci insegna infatti che occorre pregare sempre senza stancarci (cf. Lc 18,1).
    Un giorno, mentre Gesù era in preghiera e dopo che ebbe finito, uno dei discepoli gli chiese di insegnare loro a pregare. Gesù pronunciò la preghiera del Padre Nostro, la sintesi di tutto il Vangelo come la chiamerà Tertulliano (De oratione, 1). Questa preghiera, scaturita dallo stesso Figlio di Dio dal suo cuore e dalle sue labbra -, indica che l'autentica preghiera cristiana è personale ma ha anche una dimensione comunitaria (Padre nostro): «Nell'atto del pregare, l'aspetto esclusivamente personale e quello comunitario devono sempre compenetrarsi" (Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, p. 158). Anche quando l'uomo prega nel segreto della sua camera, ossia nell'intimo del proprio cuore, è preghiera della Chiesa, perché la nostra vita non può mai essere dissociata dai nostri fratelli, essendo figli dello stesso Padre ed essendo rigenerati dallo stesso Sangue del Verbo incarnato.
    Chi prega, lo fa anche per chi non prega. Non dobbiamo desiderare la salvezza solo per noi.
    Tale preghiera comunitaria si manifesta in varie forme nella Chiesa: la preghiera di benedizione esprime l'incontro tra Dio, fonte di ogni benedizione, e l'uomo che risponde nel suo cuore: bene-dicere, dire bene. Dio fa questo con la Sua presenza e provvidenza. Egli ci benedice nei cieli in Cristo (cf. Ef 1 ,3) e invita noi a bene-dire (di) Lui che ci ama (qui si comprende la gravità della bestemmia).
    La preghiera di adorazione esprime la nostra creaturalità, la nostra dipendenza da Dio, l'Unico che si deve adorare esaltandone la grandezza, la misericordia, l'onnipotenza, bandendo gli idoli dal nostro cuore.
    Ma esprime e manifesta anche l'intimità stessa di Dio che è Trinità, un Dio in cui il Figlio è rivolto sempre verso il Padre e la cui esistenza filiale può essere intesa come una grande preghiera offerta al Padre nello Spirito Santo.
    La domanda esprime la forma più comune e abituale di preghiera per l'uomo che entra in relazione con Dio. Gesù stesso invitava a domandare insistentemente: «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto» (Mt 7,7-8). Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice che «in Cristo risorto, la domanda della Chiesa è sostenuta dalla speranza» (2630). Noi chiediamo aiuto a Dio, per noi e per i fratelli, perché speriamo nel suo perdono e perché desideriamo che venga il suo Regno. Esiste una gerarchia nella domanda, che non si riduce solo alla richiesta di "cose" materiali, pur importanti, ma implora anzitutto lo Spirito Santo, vita stessa di Dio e respiro del Suo amore.
    La preghiera di intercessione ci rende conformi a Cristo, intercessore per noi peccatori presso il Padre. Colui che intercede si preoccupa delle necessità di un altro: è un grande atto di misericordia, una delle più belle beatitudini - «Beati i misericordiosi» (Mt 5,7) - e ci avvicina ai Patriarchi (pensiamo all'intercessione di Abramo e di Mosè). Ci rende simili anche al cuore di Maria, la Madre di Gesù, che intercede sempre per noi suoi figli.
    La preghiera di ringraziamento è il primo movimento che scaturisce da un cuore grato e riconoscente per tutti i doni di Dio: «Tutto proviene da Dio» (1 Cor 11,12), dice san Paolo che aggiunge: «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come non l'avessi ricevuto?» (1 Cor 4,7). Ogni dono ci giunge dall'amore di Dio ed è per questo che è frutto di umiltà rendere grazie in ogni cosa (cf. 1 Ts 5,18).
    Infine, la preghiera di lode. Lodare Dio significa riconoscerlo per ciò che Egli è, lodare è lo stupore per le Sue meraviglie: «Siate ricolmi dello Spirito intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore». Ecco la lode a Dio!




    La preghiera liturgica
    Tutte queste forme di preghiera nella Chiesa sono realizzate ed espresse dalla Liturgia, in particolare dall'Eucaristia, nella quale rendiamo grazie al Padre per il sacrificio del Figlio che viene offerto e si offre in espiazione per salvarci dai nostri peccati.
    Nella Liturgia noi adoriamo Dio, lo ringraziamo, lo lodiamo, impetriamo e benediciamo Colui dal Quale siamo amati e benedetti. La preghiera liturgica, rivolta al Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo, è comunione con la Trinità Santa, mistero d'amore rivelato a noi da Gesù e comunicato alla Chiesa per l'evangelizzazione del mondo. La preghiera nella Chiesa e della Chiesa ci pone in relazione con tutto questo e ci guida verso l'intimità con Cristo, sorgente e culmine della vita cristiana. Parlando di Origene (vissuto tra il II e il III secolo) e dei suoi scritti sulla preghiera, papa Benedetto XVI ha detto: «A suo parere, infatti, l'intelligenza delle Scritture richiede, più ancora che lo studio, l'intimità con Cristo e la preghiera.
    Egli è convinto che la via privilegiata per conoscere Dio è l'amore, e che non si dia un'autentica scientia Christi senza innamorarsi di Lui» (Udienza generale, 2 maggio 2007). Questo è il termine e lo scopo dell'azione della Chiesa: innamorarsi di Cristo per fare innamorare di Cristo.




    L'esempio dei santi
    Chi più dei santi ha vissuto questa esaltante esperienza? Nella comunione dei santi, la Chiesa pellegrina sulla terra è unita a quella del Cielo dove i nostri fratelli glorificati intercedono per noi e ci fanno da guida. Questa "nube di testimoni", come la chiama il Catechismo, ha combattuto il buon combattimento della preghiera e della fede, a cominciare dai giusti dell'Antico Testamento e da Maria Madre di Gesù. Le grandi e diverse spiritualità scaturite dall'esperienza spirituale dei santi contribuiscono a formare la grande Tradizione della Chiesa e ci indicano una via. Proverbiale fu l'esperienza di santa Teresa d'Avila (1515-1582) che disse: «L'orazione mentale, a mio parere, non è che un intimo rapporto di amicizia, nel quale ci si intrattiene spesso da solo a solo con quel Dio da cui ci si sa amati» (Libro della mia vita, 8). La preghiera deve superare tante difficoltà - tentazioni, pigrizia, accidia, distrazioni, aridità - ma, alla fine, è una questione di desiderio, di amore, di volontà. Sant'Alfonso Maria de' Liguori (1696-1787), a questo riguardo, dirà che «chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna» (Del gran mezzo della preghiera).
    I santi ci insegnano ciò che più è importante nella nostra vita e anche nella vita della Chiesa: il rapporto con Dio, il desiderare un'intimità profonda con Lui, il cercarlo con ferma fiducia. Questa è la via alla santità cristiana, cioè alla perfezione dell'amore, al vivere straordinariamente bene le cose ordinarie. Questo procura la vera gioia.
    Gesù stesso ce lo ha insegnato con la Sua vita. Infatti, «si prega come si vive, perché si vive come si prega» (CCC 2752).
    Infine, è la Chiesa stessa che ci offre tutti quei mezzi che ci conducono alla santità e all'incontro con il Signore: la celebrazione della Santa Messa, l'adorazione eucaristica, la devozione alla Madonna - soprattutto la recita del Rosario -, la lettura quotidiana della Sacra Scrittura, la confessione frequente e l'esperienza dei Santi. Così, noi membra della Chiesa, possiamo giungere a contemplare quel Dio che desidera unirsi con noi per farci partecipare al banchetto di nozze dell'Agnello (cf. Ap 19,9) dove Dio stesso, dono inaudito, passerà a servirci (cf. Lc 12,37).


    BIBLIOGRAFIA



    Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), Gesù di Nazaret, Rizzoli, 2007, pp. 157-201.
    Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), dal n. 2559 al n. 2758.
    Romano Guardini, Introduzione alla preghiera, Morcelliana, 1994.
    Idem, Il senso della Chiesa, Morcelliana, 2007.

    Don Giovanni POGGIALI
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    I consigli di un Pastore


    Ecco qualche semplice, ma efficace, suggerimento per superare i principali ostacoli alla preghiera. Intervista a mons. Renato Corti, vescovo di Novara.




    «Per una teologia del cuore». Con questa frase gli amici hanno voluto intitolare il libro che hanno offerto a monsignor Renato Corti in occasione dei suoi 10 anni di episcopato a Novara (2009). E ci hanno azzeccato, perché sicuramente il vescovo piemontese è tra quegli uomini di Chiesa capaci di coniugare un'indubbia competenza ascetica (Corti è studioso di figure e movimenti di spiritualità) con una paternità affettuosa e cordiale. Dunque l'uomo giusto per discorrere di preghiera.




    Monsignor Corti, quale percorso consiglierebbe a un cristiano qualunque, un cosiddetto «credente medio», per imparare a pregare?
    «Non so se i primi discepoli di Gesù erano "credenti medi". Ma un giorno chiesero a Gesù: "Maestro, insegnaci a pregare". La risposta fu il Padre nostro.
    C'è però una risposta non meno importante, la testimonianza personale data da Gesù: egli ha pregato; lo ha fatto nei giorni delle scelte più importanti; lo ha fatto fino all'ultimo respiro. Dominante nella sua preghiera è il riferimento al Padre. Lo ha espresso con parole di ringraziamento e anche nella forma della domanda o del gemito: il tutto inteso come relazione filiale, affettuosa e fiduciosa. Il percorso del credente è quello tracciato da Gesù».




    E i non credenti? Possono pregare?
    «Penso di sì. Charles de Foucauld ha cominciato mettendosi in fondo alla chiesa di sant'Agostino a Parigi e dicendo: "Mio Dio, se esisti, fa' che io ti conosca". Alla giovane Madeleine Delbrel, lontana dalla fede, amici cristiani che conoscevano santa Teresa d'Avila suggerirono che ogni giorno avesse uno spazio di silenzio e pensasse a Dio per 5 minuti. Accettò. Divenne un fattore per il suo ritrovamento di Dio».




    Dal rosario alla «Liturgia delle ore»: le nostre nonne pregavano quasi solo con la corona in mano, adesso anche nelle parrocchie si propongono i salmi. Questione di «mode», modelli alternativi oppure scelte complementari, secondo lei?
    «La preghiera cristiana è come la grande musica: le forme espressive sono molte, ma tutte sono linguaggio per dire bellezza. Così avviene per le forme di preghiera. Quando è vera - sia che venga sperimentata individualmente, sia che prenda forma comunitaria, sia che ci immerga nella preghiera propriamente liturgica - ha dentro di sé una melodia unica. Sant'Ignazio di Antiochia, prossimo al martirio, scriveva ai romani: "Un'acqua viva mormora dentro di me e mi dice: vieni al Padre". È la preghiera che tocca il nostro cuore e ci unisce al cuore di Dio. Il rosario? Ci voleva Giovanni Paolo Il per farcelo comprendere come devozione al mistero dell'Incarnazione e come invocazione a Maria per lasciarci condurre da lei alla contemplazione di suo Figlio. Lo scorso anno, recandosi a Loreto per l'incontro con i giovani, Benedetto XVI ha loro regalato una bellissima invocazione mariana: "Maria, Madre del sì, tu hai ascoltato Gesù e conosci il timbro della sua voce e il battito del suo cuore, Stella del mattino, parlaci di lui e raccontaci il tuo cammino per seguirlo nella via della fede". La preghiera delle nonne rimane dunque di piena attualità. Quanto alla Liturgia delle ore, essa consiste nel dare del tempo a Dio perché tutto il tempo sia di Dio e a lui gradito. Alla samaritana Gesù diceva che era giunto il momento nel quale i veri adoratori avrebbero adorato Dio in spirito e verità.
    Che vuoi dire, se non desiderio che la vita stessa diventi preghiera?».




    Bisogna ammettere però che in genere ai laici vengono offerti modelli piuttosto "clericali» di preghiera. Non trova che manchi ancora una proposta efficace e adatta alla vita quotidiana?
    «Forse è vero. Ma vedo strade possibili per tutti, senza abbassare la qualità della preghiera. I testi liturgici non sono forse veri giacimenti nei quali scavare, anche da parte dei fedeli laici, per trovarvi tesori?
    La pagina evangelica che viene proclamata la domenica e approfondita nell'omelia non può essere trasformata in preghiera? Coltiviamo l'esperienza di fermarci su un versetto e di esprimerlo nella forma di colloquio col Signore. Constateremo quanto la preghiera è sempre nuova, talvolta sorprendente, sempre coinvolgente, capace di convertire e di far gioire. La riforma liturgica prevede che l'antifona alla comunione riprenda un versetto della liturgia della Parola. Non è forse un invito a uscire dalla chiesa avendo trasformato l'ascolto in colloquio diretto, personale e profondo con Gesù ricevuto nell'Eucaristia? Purtroppo questo suggerimento è largamente ignorato. Eppure ci aiuterebbe a sperimentare il grande dinamismo della Parola quando diventa la nostra più intima preghiera. Non ci sentiremo mai soli, ma sempre in compagnia del Signore. Il segreto dei santi non sta forse nel pensare a Dio, anche quando sono impegnati in questo e in quest'altro, come una madre pensa ai figli qualunque faccenda debba sbrigare?».




    Qual è la preghiera che lei personalmente recita di più?
    «Devo essere sincero? Quando entro nella cappella del vescovado, genufletto e adoro il Signore. Gli dico: "Gesù, ti amo". Altrettanto faccio quando esco. Questa è la preghiera che propongo, attraverso i catechisti, ai bambini della prima comunione. Non si tratta di una preghiera infantile; fa piuttosto pensare a Paolo che scrive ai Galati: "Non sono più io che vivo; è Cristo che vive in me". A questo proposito, mi colpisce il padre spirituale copto-ortodosso Matta el Meskin: per insegnare ai discepoli come iniziare i momenti di preghiera, li invita a prostrarsi e adorare il Dio presente.
    Questo è anche un modo per dire: rallenta, calmati, distenditi; prega con l'anima e fatti aiutare anche dal corpo».




    Invece oggi ci sono troppi stimoli e "distrazioni», oltre ad essersi fatta strada l'idea che l'uomo non abbia più bisogno di Dio. Si direbbe che il nostro tempo non invita a pregare. lei che ne pensa?
    «Talvolta resto perplesso quando osservo l'ingresso dei fedeli in chiesa, come se non ci fosse nessuna differenza tra quel luogo e la piazza. Non voglio generalizzare: sono molte le comunità esemplari. Ma quando il popolo di Dio si raduna (penso in particolare alla celebrazione eucaristica nel giorno del Signore), compito dei pastori è che ogni momento e rito - orazioni, letture, canti - venga proposto e accolto come tempo per alimentare la fede nel cuore. Se questo non avvenisse, poco o nulla avviene. Il difficile contesto culturale dell'Occidente, che tende a spegnere il fuoco della fede, ci chiede di aumentare la premura perché i momenti di preghiera, specialmente quelli liturgici, non vengano sciupati. Senza dimenticare di compiere un'onesta verifica sul male che dovessimo lasciare indebitamente entrare negli strati più profondi di noi stessi, creando ostacoli alla preghiera e alla fede stessa. Viene alla mente il primo Salmo: "Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi, non indugia nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli stolti; ma si compiace della legge del Signore, la sua legge medita giorno e notte". Anche questo è un consiglio per la preghiera».

    Roberto BERETTA
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    Perché rivolgersi a Maria


    "Ad Jesum per Mariam". Pregare la Madre di Dio è la strada più facile per arrivare al cuore di Cristo.
    Così il Rosario ci aiuta a contemplare il volto di Gesù.



    Prima di fare riferimento al Rosario, il quale a ragione viene considerato come la preghiera tipicamente mariana, sembra doveroso premettere che, fin dalle origini del cristianesimo, sia in Oriente che in Occidente, tutti i secoli sono stracolmi di preghiere rivolte alla Madonna. Basti pensare, ad esempio, ai graffiti che si trovano sui muri di un edificio giudeo-cristiano a Nazareth in Palestina. Sostanzialmente si tratta di preghiere rivolte alla Madonna.
    La più antica testimonianza di preghiera rivolta a Maria resta, comunque, il Sub tuum praesidium, un'antifona mariana, la quale, al più tardi, risale al III secolo. Si è, quindi, di fronte a una enorme ricchezza di preghiere mariane, naturalmente scandite con differenti accentuazioni, a seconda della evoluzione dei tempi e della storia degli uomini di ogni epoca.
    In ogni modo, si è cercato sempre di evitare che le preghiere rivolte alla Vergine si trasformassero in un assoluto, senza un richiamo, cioè, alla comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, secondo quelle linee che successivamente sarebbero state tracciate dall'esortazione apostolica Marialis cultus (2 febbraio 1974) di Paolo VI: «esprimere chiaramente, nel culto mariano, la nota trinitaria e cristologica» (1 e 23).
    È doveroso accennare inoltre a un fatto incontestabile nel mondo di oggi: la necessità di conoscere le vere ragioni per cui bisogna pregare la Madonna e soprattutto capirne il senso. Ecco perché non si può fare a meno di sottolineare alcuni imprescindibili aspetti del culto mariano: apertura al piano di Dio, raggiungimento del cuore di Dio attraverso mediatori, comunione con la Chiesa dei Santi, relazione fiduciosa con Dio, pedagogia di vita evangelica.
    Accogliendo Maria come dono del Cristo morente sulla Croce, ci si apre al piano di Dio; servirsi di Maria per arrivare ancor meglio al cuore del Figlio costituisce un grande "atto di fede"; apertura alla comunione con il Cielo e la Terra e cioè con Dio e con i fratelli; abbandono mistico specialmente nei momenti di depressione che, purtroppo, attanagliano crudelmente l'uomo di oggi ed infine l'accettazione di Maria come la più completa risposta alle attese del Cristo, attraverso una perfetta imitazione di Maria nel suo cammino di fede sulla terra.
    Non è chi non veda, pertanto, come la preghiera mariana debba essere veramente piena di valori. Proprio in riferimento a questi ultimi, a modo di esempio, riportiamo per intero la prima preghiera liturgica mariana, cui già è stato fatto cenno: «Sub tuum praesidium confùgimus,/ sancta Dei Génetrix;/ nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus;/ sed a periculis cunctis libera nos semper,/ Virgo gloriosa et benedica» (Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o vergine gloriosa e benedetta).
    Altre preghiere liturgiche mariane molto belle sono: la Salve Regina, l'Alma Redemptoris Mater, l'Ave Regina Caelorum e la Virgo parens Christi. Senza dimenticare la recita dell'Angelus e del Regina Coeli.




    Il Rosario, contemplazione con Maria del volto di Cristo
    Il Rosario non è sorto tutto d'un colpo. Tale preghiera mariana ha avuto, anzi, un lungo periodo di gestazione. Sappiamo che è apparso dapprima come Salterio della Beata Vergine Maria verso l'anno Mille, quando ancora molti laici erano illetterati o addirittura analfabeti e, quindi, non erano in grado di recitare i 150 salmi del Breviario. Anche l'attuale struttura: la seconda parte dell'Ave Maria (Santa Maria, ecc.), il Gloria e la divisione in decadi sarebbero venute gradualmente.
    A parte il grande interesse che ebbero per il Rosario Paolo VI e molti altri pontefici prima di lui, spetta a Giovanni Paolo II, con la lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae del 16 ottobre 2002, l'iniziativa non di cambiare il Rosario, ma di rinnovarlo, migliorarlo e renderlo più attraente, passando dall'aspetto fenomenico della recita alla sua forma profonda di contemplazione. «Con esso il popolo cristiano - egli ha scritto - si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi introdurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e all'esperienza della profondità del suo amore».
    Le decine, invece di 15 diventano 20: alla contemplazione dei misteri della gioia, del dolore, e della gloria si aggiungono quelli della luce o luminosi. Da allora, il tempo per sgranare le venti decine del rosario lo avremmo occupato meditando le grandi verità della nostra fede e soprattutto estasiandoci del volto di Cristo, e quindi, seguendo passo passo questa magnifica epopea cristiana.
    È vero che, quando si ha tra le mani la corona del rosario, il passaggio da un grano all'altro sembra un gioco di bambini, ma questo non deve assolutamente turbarci. Viene subito alla mente il «Se non diventerete come bambini...»; senza considerare il fatto che proprio ai bambini piace non poco, quando sono educati nella fede, la recita del Rosario.
    In effetti, se si riesce a comprendere l'invito a contemplare il volto di Cristo, recitando le "Ave Maria", si è colto veramente il metodo più efficace e più attraente di recitare il Rosario, perché soltanto allora Dio parla dentro di noi, mentre le labbra si muovono. Ed anche noi ci rendiamo conto di essere avvolti e coinvolti nel mistero che si impadronisce della nostra anima e di tutta la nostra vita.
    Ben presto ci accorgeremo che anche la ripetizione dell'Ave Maria costituisce l'ordito, sul quale si sviluppa la contemplazione dei misteri; il volto di Gesù che contempliamo è quello stesso volto che la successione dei misteri ci propone: il Volto del Figlio di Dio, nato a Betlemme dalla Vergine Maria. Anche la recita del rosario costituisce, quindi, un tipo di culto rivolto a Maria, una preghiera per eccellenza, che, secondo quanto viene affermato nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 198), differisce essenzialmente dal culto di adorazione prestato soltanto alla Santissima Trinità, ma è certamente particolare espressione di venerazione. È per questo che la Chiesa, con la luce della fede che illumina il popolo cristiano, raccomanda moltissimo tale pratica specialmente nell'ambito delle famiglie, come autentica manifestazione della pietà popolare e come momento più indicato per la preghiera destinata ad alimentare la vita stessa dei fedeli.
    Ed allora, rivolgendo la nostra preghiera alla Madonna, non si manchi mai di fissare i suoi occhi splendenti, dicendole: «Non volere, o Madre del Verbo, disprezzare le nostre preghiere, ma ascoltaci propizia ed esaudiscici» possibilmente ripetendo a memoria il «Memorare, o piissima Virgo Maria, non esse auditum a speculo, quemquam ad tua currentem praesidia, tua implorantem auxilia, tua petentem suffragia, esse derelictum» (Ricordati, o piissima Vergine Maria, non essersi mai udito al mondo che alcuno abbia ricorso al tuo patrocinio, implorato il Tuo aiuto, chiesto la Tua protezione e sia stato da te abbandonato)!
    Quel che di più è importante, però, è il rivolgersi a Maria con grande umiltà e devozione, ma soprattutto con confidenza, portando sulle labbra il saluto dell'angelo, possibilmente, almeno talvolta, a mani aperte e a capo chino, con gioia. È un saluto povero di parole, ma ricco di misteri, quello che le si rivolge; breve come formula, ma profondo come contenuto.
    Ecco il valore immenso dell'Ave Maria, la quale, tra le preghiere rivolte alla Vergine, rifulge come preziosissima perla o come il fiore più profumato e più bello che le si possa offrire.


    BIBLIOGRAFIA



    Stefano De Fiores, Maria. Nuovissimo Dizionario, 2 voli., EDB, 2006.
    Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 963-976.

    Mons. Girolamo GRILLO
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    Alla scuola di S. Ignazio


    «Non c'é rinnovamento, anche sociale, che non parta dalla contemplazione».
    Questa è la sostanza del discorso che Giovanni Paolo II tenne ai partecipanti della 18a Assemblea della Federazione Italiana degli Esercizi Spirituali (FIES) il19 febbraio 1996.
    Il magistero della Chiesa dal 1548, anno della approvazione degli esercizi ignaziani (ES) da parte di Paolo III, fino ad oggi è intervenuto più di seicento volte per elogiare e raccomandare questo metodo. Questa continuità segnala gli ES come un mezzo universale e forte in grado di far trovare a chiunque la propria spiritualità e di riportare tutti alla sorgente del Vangelo.
    Una schiera di santi ha attinto alla spiritualità degli ES ignaziani: vescovi come s. Carlo Borromeo e s. Francesco di Sales; apostoli come s. Vincenzo de' Paoli, il francescano s. Leonardo da Porto Maurizio, s. Giovanni Bosco, s. Giuseppe Cafasso, il venerabile Pio Bruno Lanteri precursore del movimento cattolico, s. Teresa d'Avila e s. Teresina ecc. Questo indica che gli ultimi quattro secoli della Chiesa sono stati profondamente segnati da questo piccolo libro che Ignazio scrisse nella grotta di Manresa dopo una intera notte di veglia passata a pregare la Madre di Gesù.




    Le quattro settimane
    Gli ES sono divisi in quattro settimane.
    Ignazio "dettava" gli ES anche ad una sola persona: è successo così con s. Francesco Saverio.
    La prima settimana è incentrata sul peccato. L'uomo è creato per unirsi a Dio nella gioia eterna ma questa salvezza è ostacolata dall'uomo con atti contrari alla legge di Dio e quindi al Suo amore. Il peccato degli Angeli, il peccato originale dei progenitori e quello dell'uomo di sempre hanno distrutto le relazioni fondamentali dell'essere umano con Dio, con gli altri uomini, con la natura e con sé stesso. È un'offesa a Dio e perciò radicale alienazione dell'uomo. Oggi è più che mai necessaria la catechesi sul peccato, in quanto l'uomo non ne riconosce più il senso e crede in un'autosalvezza senza l'aiuto di Dio. Ignazio ci conduce allora ad esaminare la nostra vita e attraverso una purificazione dal male ci fa giungere a una nuova tappa che è necessaria perché il male non ha l'ultima parola nella nostra vita ma è stato sconfitto dal bene.
    La seconda settimana è incentrata sulla conoscenza della Persona di Cristo. Dopo aver meditato il "disordine" del peccato Ignazio ci mostra l"'Ordine". Nella disperazione ecco la speranza: Gesù Cristo. «In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). I verbi chiave di Ignazio sono conoscere, amare e seguire: «...conoscere intimamente in che modo il Figlio di Dio si è fatto uomo per me, affinché lo ami con più ardore e quindi lo segua con più fedeltà» (ES 104). Per me: è centrale in Ignazio questa sottolineatura. Conoscere intimamente Colui che si è fatto uomo per me. Amarlo con ardore e con tutto me stesso. Seguirlo, perché se lui ha dato tutto, consumandosi sulla croce, anch'io devo spendere la mia vita per Lui. È in questa settimana che si compie un discernimento sugli stati di vita e sulla "elezione": dove Dio mi vuole? qual è la Sua volontà e cosa vuole che io faccia per Lui? È un itinerario logico per Ignazio: come si fa a non seguire un Re eterno che ha dato tutto per me e che mi chiama al suo servizio? Gesù Cristo è il Principio e il Fondamento dell'esistenza.
    La terza settimana è la settimana della Passione. Così Pietro Schiavone sj. descrive l'itinerario ignaziano: «La prima settimana corrisponde alla cosiddetta vita purgativa, la seconda alla vita illuminativa, la terza e la quarta alla vita unitiva. Non basta seguire Gesù, non basta assimilarne la dottrina; è necessario lasciarsi "conquistare" (Fil 3, 12) da Lui, lasciarsi "avvincere" dallo Spirito (At 20,22), per consentire il processo di identificazione che porta a vivere totalmente "per Dio, in Cristo Gesù" (Rm 6,11) [...]. È il mecum del Regno che deve essere evidenziato e vissuto fino in fondo: "Chi vuoi venire con me, deve lavorare con me perché, seguendomi nella sofferenza, mi segua anche nella gloria" (ES 95)» (S. Ignazio di Lojola, Esercizi Spirituali, a cura di P. Schiavone sj., s. Paolo, 1996, 100 ed.).
    La quarta settimana, indissolubilmente unita alla precedente, è l'unione con il Cristo glorioso. La contemplazione della Resurrezione è il punto d'arrivo dell'itinerario ignaziano. Infatti il santo spagnolo ci indica di chiedere la grazia di «rallegrarmi e godere intensamente per la grande gloria e gioia di Cristo nostro Signore» (ES 221).
    L'ultima contemplazione, suggello degli ES, è quella per ottenere l'amore di Dio.
    L'amore, dice Ignazio seguendo la Sacra Scrittura, si mostra più dai fatti che dalle parole; è dare più che ricevere. L'amore è il fine di tutto e Ignazio, che usa poco questa parola per non sprecarla, vuole farci comprendere quale grande amore Dio ha per ciascuno di noi. Dio ci ama in maniera infinita personalmente, come se fossimo gli unici ad esistere sulla terra: questa è la scoperta a cui vuole farci pervenire s. Ignazio.




    Un metodo in cinque giorni

    Il mese ignaziano è impegnativo. Soprattutto oggi con il tipo di vita che viene condotta dalla maggior parte delle persone.
    Un Padre gesuita del XX secolo, Francesco da Paola Vallet, riuscì genialmente a condensare l'essenziale degli esercizi in cinque giorni. Quattro settimane racchiuse in un tale periodo di tempo. Per tutti, quindi, sono diventati accessibili. Indispensabili sono il silenzio e un luogo adatto alla contemplazione per restare in preghiera con il Signore. Gli ES sono fondamentalmente una scuola di preghiera: si sono contati più di dieci metodi di preghiera all'interno degli ES. Ma per pregare occorre silenzio e ascolto della Parola di Dio.
    «Fra i parecchi metodi lodevoli per dare esercizi ai laici, quello basato sugli Esercizi spirituali di S. Ignazio di Lojola, fin dall'approvazione data da Paolo 111 nel 1548, è il più largamente usato» (Paolo VI, 25 luglio 1969).





    Per informazioni sugli ES e sulle date dei corsi:


    Opera di Maria Madre della Chiesa
    www.opusmariae.it
    email: [email protected].
     
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