Aborto di stato: trent'anni di vergogna

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    Roberto Mezzana

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    Se il delitto diventa diritto


    L’aborto legale è una malattia mortale dell’ordinamento giuridico. Produce i peggiori frutti avvelenati: uccide l’innocente e confonde le coscienze. Ecco come resistere.


    L’aborto, così come il furto e l'omicidio, é uno dei reati più antichi della storia dell'uomo. Le leggi hanno in ogni tempo tentato di contrastarlo, ben sapendo che - come accade sempre nell'ambito del diritto penale - nessuna legge riuscirà mai a eliminare completamente la devianza e l'illegalità.
    Negli ultimi quarant'anni abbiamo però assistito ad una trasformazione senza precedenti: nella quasi totalità dei Paesi occidentali si è animato un dibattito che è culminato quasi ovunque con la legalizzazione dell'aborto procurato. Un tempo, l'aborto per legge era una "esclusiva" dei regimi totalitari, come l'Unione Sovietica comunista e i territori dell'Est occupati dalla Germania nazista; e delle socialdemocrazie scandinave, protagoniste anche di alcuni clamorosi piani di sterilizzazione forzata.
    Ben diversa era la situazione ad esempio negli Stati Uniti, dove gli ordinamenti federali consideravano reato grave la soppressione di un nascituro attraverso l'aborto procurato. Allo stesso modo, tutti i codici penali europei - molti dei quali varati nell'Ottocento da giuristi e da parlamenti di orientamento laico-liberale con venature anticattoliche - trattavano l'aborto procurato come un reato.
    Solo in seguito, nella seconda metà del Novecento, nel volgere di pochi decenni ciò che prima era unanimemente considerato come delitto è stato trasformato in diritto.




    Strategie e argomenti degli abortisti
    La stragrande maggioranza dell'opinione pubblica ha mutato radicalmente posizione sull'aborto procurato: si è passati dalla condanna senza eccezioni alla legalizzazione. Il tutto è avvenuto con l'utilizzo di tecniche di "mitridizzazione": il cambiamento è stato somministrato a piccole dosi, attraverso un processo di spostamento notturno del picchetto che delimita idealmente l'area delle azioni proibite. Dopo molte notti di piccoli spostamenti, alla fine i confini della morale e del diritto risultano completamente stravolti, senza che l'opinione pubblica si accorga dello sconvolgimento.
    Questo cambiamento è stato supportato da una serie di argomentazioni che il fronte aborti sta ha sapientemente diffuso attraverso i mass media. Argomenti che lungo una scala progressiva si possono riassumere così:
    a. i casi limite: l'aborto è sbagliato, ma ci sono situazioni come la violenza carnale o l'incesto in cui deve essere consentito;
    b. la salute della donna: quando la gravidanza mette in pericolo la salute della madre, è lecito interromperla;
    c. la salute del concepito: in caso di malformazioni o malattie genetiche, è giusto permettere alla donna di decidere se non sia meglio abortire;
    d. il concepito non è ancora un essere umano: si nega - mentendo - che la vita inizi dal concepimento;
    e. la clandestinità: siccome l'aborto esiste comunque, e mette a repentaglio la salute e la vita delle donne, meglio legalizzarlo;
    f. l'autodeterminazione della donna: nessuno deve obbligare la donna a diventare madre, e dunque qualsiasi motivo può giustificare la richiesta di aborto;
    g. un problema confessionale: se uno è cattolico può restare contrario all'aborto, ma uno Stato laico non può obbligare nessuno a non praticarlo.
    La legalizzazione dell'aborto è legata ad alcune svolte storiche. In particolare, l'Abortion Act del 1967 in Gran Bretagna. E la sentenza Roe Vs Wade, pronunciata dalla Corte suprema degli Stati Uniti nel 1973.
    Sulla scia di queste decisioni, oggi l'aborto è legale in quasi tutti i Paesi occidentali.
    Inoltre, le nazioni che ancora lo considerano un delitto sanzionato dal codice penale - come accade in Sud America, in Africa, in Medioriente - sono oggetto di una poderosa offensiva abortista tesa a legalizzare l'uccisione dei non nati.




    Il caso italiano
    La legge 194 - una fra le più ipocrite e permissive al mondo in materia di aborto - è stata approvata dal Senato il 18 maggio del 1978. Ma l'aborto volontario ha fatto il suo ingresso nell'ordinamento giuridico italiano qualche anno prima, il18 febbraio del 1975. In quella data, la Corte Costituzionale aveva scritto una celebre sentenza, la numero 27, nella quale si afferma che il diritto della donna non solo alla vita, ma alla propria salute fisica e psichica, è da ritenersi più importante del diritto alla vita del concepito.
    Si consuma qui, per mano dei giudici costituzionali, la svolta epocale che rompe drasticamente la tradizione giuridica precedente. I codici penali degli Stati preunitari, il codice Zanardelli - di ispirazione liberale - e il successivo codice Rocco - varato durante il fascismo - consideravano reato l'aborto. Fino al 1975 l'ordinamento italiano aveva conservato sul problema dell'aborto una posizione integerrima. Che si può riassumere in questi termini:
    a. l'atto abortivo è sempre vietato, senza alcun tipo di eccezione;
    b. a questo divieto è collegata una sanzione di tipo penale, che colpisce con maggiore severità chi compie tecnicamente l'atto abortivo (la praticona e soprattutto il medico) e con minore durezza la donna;
    c. nel caso in cui sorga un conflitto drammatico tra la vita (e non la salute) della madre e la vita del nascituro, il legislatore consente il ricorso al principio generale dello "stato di necessità" (articolo 54 del Codice Penale): non è punibile una persona che commette il fatto al solo scopo di salvarsi dal pericolo attuale di un danno grave, attuale, non causato da sé, non evitabile altrimenti, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. In pratica, anche in questo caso tragico l'aborto restava illecito, ma era non punibile, lasciando alla coscienza della donna il compito di discernere quale condotta fosse moralmente obbligante.
    La sentenza della Corte Costituzionale distruggeva questo equilibrio fondato sulla legge naturale - in base alla quale l'uccisione intenzionale e diretta dell'innocente non è mai lecita - e introduceva l'idea che la salute della donna "valesse di più" della vita del concepito.




    Gli effetti della legalizzazione
    La legalizzazione dell'aborto comporta una serie di conseguenze estremamente negative, non tutte immediatamente riconoscibili. Varrà la pena di esaminare le più importanti.
    a. Eliminazione massiva di esseri umani innocenti: in Italia, trenta anni di legge 194 hanno comportato l'uccisione legale di 4 milioni e 800.000 nascituri.
    L'aborto clandestino non è scomparso e il numero di aborti per ogni mille nati vivi è costante e supera quota 250.
    b. Effetto diseducativo: una norma che rende lecito l'aborto "semina" nella società l'idea che abortire sia, inizialmente, un fatto da tollerare; poi un diritto da rivendicare; in seguito un bene da garantire; al/a fine, un gesto perfettamente indifferente". Il delitto diventa un diritto. Scrive Corrado Alvaro: «Non esiste difetto che, alla lunga, in una società corrotta, non diventi pregio; né vizio che la convenzione non riesca ad elevare a virtù».
    c. Assuefazione: l'opinione pubblica - anche quella che era originariamente contraria - si abitua all'idea che l'aborto sia legale, e tende ad accettare il fatto come ineluttabile.
    d. Legittimazione morale dell'aborto: molti pensano che, se la legge consente l'aborto, significa che non c'è nulla di male nel praticarlo; ciò vale soprattutto per le nuove generazioni, che nascono quando la legge già esiste.
    e. Legittimazione giuridica dell'aborto: anche fra coloro che continuano a pensare che l'aborto sia un male morale, si diffonde l'idea che però non spetti allo Stato il compito di vietarlo o, peggio, di punirlo. Si instaura una specie di "partita doppia" della coscienza, che disapprova un comportamento nel "foro interiore", ma che afferma la necessità (o addirittura la bontà) di leggi come la 194.
    f. Rimozione della storia: in questo clima, si tende addirittura a cancellare il ricordo del passato, dimenticando che ci fu un tempo in cui l'aborto era vietato dalle leggi. L'ignoranza invade il dibattito, le leggende rimpiazzano la storia: «il codice Rocco non tutelava la vita umana ma la stirpe italica»; «la legge 194 non è eugenetica,,; «l'aborto è legale ma non è un diritto».
    g. Autodeterminazione della donna e "uccisione" del padre: anche fra coloro che erano contrari alla legalizzazione, si diffonde l'idea che l'aborto sia "una questione della donna", e che sia impossibile prescindere dall'esercizio della sua volontà di potenza. Dimenticando così che, se l'aborto è una "scelta della donna", allora non può che essere legalizzato, e senza sostanziali limitazioni. La figura del padre riceve qui un ulteriore colpo mortale.




    Come riconoscere il pensiero abortista
    Dopo molti anni di applicazione, perfino coloro che si erano battuti contro le leggi abortiste rischiano di smarrire l'ortodossia. Regna sovrana la confusione tra ciò che è possibile ottenere politicamente e ciò che è giusto pensare e dire sull'argomento "aborto legale".
    Nel maggio del 1981 la legge 194 venne confermata da un referendum popolare. In quell'occasione non mancarono intellettuali cattolici che si schierarono in difesa della legge abortista. Fra questi spicca il nome di Mario Gozzini, senatore eletto nelle liste dell'allora Partito comunista, il cui voto, insieme a quelli di altri senatori come lui - cattolici nel PCI - fu determinante per l'approvazione della 194. Nel 1982 Gozzini rilasciò un'intervista alla rivista Rocca in cui fra l'altro diceva: «È responsabilità anche dei cattolici se la legge 194/78 è stata attuata solo per gli interventi sanitari e non per la parte che riguarda la prevenzione e la dissuasione, così che, contro la lettera e lo spirito della legge stessa, l'aborto è usato come mezzo di controllo delle nascite e le recidive salgono a percentuali inaccettabili. Anche qui si tratta di capire e far capire quanto sarebbe più fecondo, per la Chiesa e per la società, deporre risentimenti, illusioni di rivincita, separatezze, e convertirsi culturalmente e moralmente all'idea che le procedure previste, se correttamente applicate (ora non lo sono) possono ridurre il fenomeno più e meglio della minaccia impotente di una sanzione penale. Vale più l'affermazione di un principio giuridico o l'assidua, disinteressata, disideologizzata, umile presenza nelle strutture pubbliche?».
    Un vero manifesto dell'''abortismo gentile", che faremo bene a tenere a portata di mano per evitare di scivolare, anche in buona fede, dentro questa trappola mortale.





    DA NON PERDERE



    MARIO PALMARO, Aborto & 194. Fenomenologia di una legge ingiusta, Sugarco, Milano 2008, pp. 256, € 18,00.




    L'aborto è l'uccisione di un essere umano innocente.
    Questa verità può esser detta in molti modi e con molte intenzioni diverse: per il gusto un po' feroce di ferire e umiliare la donna che ha abortito; o per il desiderio sincero e amorevole di salvare un innocente da una fine terribile, e una mandre da un rimorso oscuro quanto palpabile. Ma poi, alla fine, contano i fatti. E il fatto rimane sempre quello: con l'aborto si uccide. Questo vuole essere un libro onesto, al punto di trarre con rigore tutte le conseguenze logiche che la ragione ci impone: se l'aborto uccide, e uccide un innocente, non può essere giusto che la legge - in Italia la 194 del 1978 - consenta alla donna di praticarlo. Nessuna persona sana di mente potrebbe affermare contemporaneamente che deportare il popolo ebreo in un campo di concentramento è un'orribile violenza; e che però, d'altra parte, le leggi che lo consentirono sono buone. Lo scandalo non è che una donna possa essere tentata di abortire. Perché ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, un uomo è tentato di uccidere, rubare, tradire, violentare, sfruttare, mentire, uccidersi. Lo scandalo è che una società e uno Stato possano dire a quella donna: «Ecco, accomodati, ti ho preparato un luogo pulito e sicuro dove tu possa farlo gratuitamente».


    BIBLIOGRAFIA



    Giuseppe Garrone, Oltre la morte... la vita. La via di resurrezione dall'aborto, Gribaudi, 2006.
    Mario Palmaro, Aborto & 194, Fenomenologia di una legge ingiusta, Sugarco, 2008.
    Mario Palmaro, Ma questo è un uomo, San Paolo, III ed. 1998.
    AA.VV., 194 trent'anni dopo. Situazioni e prospettive, Gribaudi, 2008.
    Renzo Puccetti, L'uomo indesiderato. Dalla pillola di Pincus alla RU 486, Società Editrice Fiorentina, 2008.
    Carlo Bellieni, Godersi la gravidanza... come una volta, Ancora, 2007.
    Francesco Agnoli, Storia dell'aborto, Fede & Cultura, 2008.
    Associazione Difendere la Vita con Maria, Veramente un figlio! La vita: un bene inviolabile, Cantagalli,2005.
    Giorgio Maria Carbone, L'embrione umano: qualcosa o qualcuno?, Edizioni Studio Domenicano, 2005.
    AA.VV., Aborto, il genocidio del XX secolo, Effedieffe, 2000.

    Mario PALMARO
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    Perché la Chiesa dice "no"



    Duemila anni di cattolicesimo hanno ininterrottamente condannato la legalizzazione dell’aborto. Una intransigenza che si fonda sulla ragione umana, e che non ammette cedimenti di comodo.



    In queste righe esaminerò solo l'aborto volontario, detto anche procurato, cioè quell'atto umano che ha come obiettivo diretto il sopprimere un essere umano di età embrionale o fetale con mezzi chirurgici o prodotti chimici (si pensi ad esempio agli effetti abortivi del Norlevo, la cosiddetta "pillola del giorno dopo», o della RU486). L'aborto volontario si distingue dall'aborto involontario, detto anche spontaneo, il quale non è un atto umano, ma è un fenomeno che non può essere attribuito direttamente alla responsabilità di qualcuno.
    Non intendo parlare delle cause soggettive o delle circostanze drammatiche che possono indurre alla scelta abortiva: primo, perché lo spazio a disposizione è ridotto; secondo, perché i moventi di chi agisce, per quanto commoventi e tragici, non mutano la sostanza del gesto. In altri termini, un'azione umana va valutata innanzitutto per quello che essa è, per il suo oggetto diretto, per ciò in cui essa consiste. Poi, secondariamente potranno essere valutate le circostanze, tra le quali ci sono anche i moventi di chi agisce.




    Le ragioni della fede
    Che l'aborto volontario sia condannato come un grave peccato è evidente da numerosi passi della rivelazione biblica.
    Sia l'Antico che il Nuovo Testamento affermano ripetutamente che ogni uomo, indipendentemente dalla sua età e dalla sua condizione di vita, è amato e voluto da Dio per se stesso. Anzi, Dio è autore dell'esistenza di ogni uomo ed è colui che affida ad ognuno una missione di salvezza. Solo a titolo di esempio ricordo il Salmo 139,13-16: «Sei tu [Signore] che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio [...]. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno»; e Geremia 1,5: "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato».
    L'essere umano, per quanto sia piccolo e sia ancora nel grembo materno, è già inserito, non in termini opzionali ma a pieno titolo, in un disegno di amore, il cui autore è Dio e i cui cooperatori sono i genitori. Perciò, la rivelazione biblica ha una considerazione così alta dell'essere umano fin dal suo concepimento che anche ad esso va estesa la tutela contenuta nel comandamento «Non uccidere» (Esodo 20,13; Matteo 5,21).
    Inoltre, tra i «frutti della carne», cioè tra quelle azioni diametralmente opposte all'amore di carità e che escludono dal regno di Dio, cioè dalla comunione di grazia con Cristo, è annoverata la «pharmakeia» (Galati 5,20), spesso tradotta con «stregonerie» o «magie», ma che è meglio parafrasare con «l'uso di venefici abortivi», in quanto «pharmakos» indica proprio i «venefici abortivi».
    La tradizione vivente della Chiesa, fin dall'epoca apostolica, ha ribadito e specificato questa condanna del gesto abortivo.
    Ad esempio La dottrina dei dodici apostoli (5,2), un documento del I secolo d.C., afferma «Non ucciderai con l'aborto il frutto del grembo e non farai perire il bimbo già nato». Tertulliano (III sec.), ne La difesa del Cristianesimo (9,8), scrive in modo lapidario: «È un omicidio anticipato impedire di nascere; poco importa che si sopprima l'anima già nata o che la si faccia scomparire sul nascere. È già uomo colui che lo sarà».
    Da ultimo ricordo l'affermazione cristallina e solenne del Concilio Ecumenico Vaticano Il, in Gaudium et spes (n. 51): «Dio padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita: missione che deve essere adempiuta in modo umano. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cu, ra, e l'aborto procurato e l'infanticidio sono abominevoli delitti».
    Altrettanto solenne è un passaggio dell'Evangelium Vitae (n. 62) di Giovanni Paolo Il: «Con l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi successori, in comunione con i vescovi - che a varie riprese hanno condannato l'aborto e che nella consultazione precedentemente citata, pur dispersi per il mondo, hanno unanimemente consentito circa questa dottrina - dichiaro che l'aborto diretto, cioè voluto come fine o come mezzo, costituisce sempre un disordine morale grave, in quanto uccisione deliberata di un essere umano innocente. Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa e insegnata dal magistero ordinario e universale». Questa dichiarazione per il suo contenuto e per le sue caratteristiche formali è una dichiarazione infallibile e irreformabile (cf. Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio Fidei, n. 11, 29 giugno 1998).




    Le ragioni della ragione
    A parte i fondamenti rivelati, la proibizione dell'aborto e della sua legalizzazione ha un fondamento razionale, che può essere facilmente condiviso da chi, pur non essendo credente, voglia almeno usare il ben dell'intelletto.
    Ognuno di noi, che sia sano di mente, sperimenta in sé un'inclinazione strutturale, quella alla vita fisica e alla conservazione di sé. Ora, la vita fisica non è qualcosa di estrinseco a me, ma sono io stesso: se qualcuno non rispetta la mia vita corporea, non rispetta me. Perciò, la vita fisica è il valore fondamentale, cioè quel bene su cui si fondano tutti gli altri valori dell'essere umano. È la condizione indispensabile per poter godere di tutti gli altri beni. Perciò, se essa non viene adeguatamente protetta e promossa, risulta profondamente vano, per non dire ipocrita, affermare che l'uomo gode della libertà, dell'autonomia, del diritto alla salute.
    La vita fisica, inoltre, è un bene indisponibile. Innanzitutto, perché la vita fisica è la condizione stessa per poter disporre di sé. In secondo luogo, perché noi, pur godendo dell'esistenza, non ne siamo i proprietari. Infatti, ognuno di noi sperimenta sia che non è venuto all'esistenza di propria iniziativa, ma che ha ricevuto la vita; e sia che questa gli può essere tolta in qualsiasi momento, nonostante la volontà sua o di altri si opponga. In altri termini, io non sono la causa efficiente del mio essere, della mia vita, perché se lo fossi dovrei essere prima ancora di essere. Perciò, devo ammettere di dipendere nell'essere da Colui che è l'essere per essenza. Ora, mentre posso liberamente disporre di ciò che è nelle mie capacità (ad esempio, di ciò che posso fabbricare), non posso lecitamente disporre di ciò che supera le mie capacità. E proprio questo è il caso dell'esistenza fisica e dell'integrità corporea.
    Il carattere fondamentale e indisponibile della vita fisica umana, da un lato proibisce tutte le azioni che sopprimono direttamente e deliberatamente la vita umana: l'omicidio, il suicidio, l'eutanasia, l'aborto, il genocidio, la guerra di conquista. Dall'altro, comanda di tutelare e promuovere la vita fisica propria e altrui, e la salute propria e altrui in rapporto alle necessità e all'urgenza. Comanda, inoltre, di educare sé e gli altri ad accettare il dolore e la morte, sia perché si tratta di limiti inevitabili insiti nello stesso bene della vita fisica, e sia perché il non accettarli provoca non di rado disagi e disturbi della personalità.
    Cerchiamo la contro-prova, ricorrendo a un ragionamento per assurdo. Ammettiamo che la vita fisica , umana sia disponibile, il che significa che io, o qualcuno per me, possa disporre della mia esistenza fisica e disporre significa anche alienare, cioè comprare I e vendere. Quindi, la vita corporea diventa una cosa alienabile, una merce barattabile, una realtà oggetto di valutazione commerciale. Se ciò vale per la vita corporea di un mio simile, perché non dovrebbe valere anche per me? Eppure ognuno di noi, di fronte a questa ipotesi, si ribella e ha ragione di considerarla una tirannica ingiustizia.
    Ogni legge che introduce l'aborto in una nazione, e che quindi ha la pretesa di rendere legale la soppressione di un essere umano di età embrionale o fetale, considera la vita fisica umana, e quindi lo stesso essere umano, come un bene disponibile. Un bene su cui è ammessa la contrattazione parlamentare o il compromesso politico, come un bene di cui l'adulto può disporre a proprio piaci mento. Le norme che legalizzano l'aborto, quindi, riducono in ultima analisi un mio simile a una cosa disponibile.
    Inoltre, la legge di una nazione ha la funzione non di difendere chi ha il potere e la forza - perché il potente tenta sempre di farsi giustizia da sé - ma piuttosto di tutelare chi non ha la forza e si trova in una posizione di debolezza. Ora, qualsiasi legge che legalizza l'aborto cancella il diritto all'esistenza dell'essere umano e nega la tutela a chi è più debole e indifeso per legittimare un sopruso omicida a suo danno. Perciò, la funzione della legge è totalmente stravolta. Ed è così instaurata la tirannia del potente e dell'adulto a danno del più piccolo e del più debole, tirannia camuffata dietro il formalismo della democrazia parlamentare. È la corruzione strutturale dell'ordinamento giuridico: questo formalmente riconosce i diritti inviolabili dell'essere umano, ma concretamente rende legale la violazione del più elementare e fondamentale diritto, quello di venire alla luce e di esistere. Si badi che tutto il ragionamento dipende dal dato di fatto incontrovertibile che io mi identifico con la mia vita corporea, che il corpo è parte integrante del mio essere uomo e che l'essere umano con la sua vita corporea è un bene indisponibile.




    Le ragioni degli interventi della Chiesa
    Alcuni, davanti ai ripetuti interventi del magistero che condannano la legalizzazione dell'aborto gridano «alla Chiesa impicciona». In realtà, la Chiesa interviene per dare voce a chi non ha voce. Se lo Stato riconoscesse in modo assoluto e incondizionato il bene della vita fisica di ogni essere umano, anche di età embrionale o fetale, l'intervento della Chiesa non sarebbe necessario. Ma poiché la maggior parte della classe dirigente politica italiana, come anche di altri Paesi, è in altri affari affaccendata e si fa garante non dei diritti inviolabili dei più deboli, ma degli interessi dei più forti, allora l'intervento della comunità credente e del magistero si fa particolarmente urgente e decisivo.









    «Se la pubblica autorità può talvolta rinunciare a reprimere quanto provocherebbe, se proibito, un danno più grave, essa non può mal accettare di legittimare, come diritto del singoli - anche se questi fossero la maggioranza del componenti la società -, l'offesa Inferta ad albe persone attraverso il misconoscimento di un loro diritto così fondamentale come quello alla vita. La tolleranza legale dell'aborto o dell'eutanasia non può In alcun modo richiamarsi al rispetto della coscienza degli altri, proprio perché la società ha il diritto e il dovere di tutelarsi contro gli abusi che si possono verificare In nome della coscienza e sotto Il pretesto della libertà".
    (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium Vitae, n. 71).


    BIBLIOGRAFIA



    Giorgio Maria Carbone, L'embrione umano: qualcosa o qualcuno?, ESD, Bologna 2005.
    Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 1995.
    Benito Giorgetta, Vita umana: @ divino. La giornata per la vita: analisi dei messaggi dei vescovi italiani e degli Angelus di Giovanni Paolo II, Elledici, 2006.

    Padre Giorgio CARBONE
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    Disastro 194


    Parla Giuseppe Garrone, uno dei leader storici del movimento pro life italiano: «Dobbiamo denunciare senza tregua una legge che permette e finanzia l’aborto. Applicare bene la 194? Significa uccidere esseri umani».


    Loro sono quelli del no all'aborto «senza se e senza ma". Proprio nel momento in cui - finalmente! - il mondo politico comincia a parlare senza tabù di una «revisione» della 194, mentre «atei devoti» come Giuliano Ferrara avanzano proposte di «moratoria» sull'aborto: loro no. A questi pro life «fare il tagliando» trentennale alla legge non basta affatto e vale la pena di ascoltare le ragioni forti di Giuseppe Garrone, presidente di Federvita Piemonte e responsabile nazionale del numero verde «SOS Vita», cofondatore del Comitato Verità e Vita, già autore di Ma questo è un figlio (testimonianze di donne che hanno abortito) nonché di Oltre la morte.., la vita (percorso di rinascita dopo l'aborto), ora in libreria - sempre per Gribaudi - con La 194 trent'anni dopo.




    Garrone, la 194 è stata sempre presentata come «male minore», prima rispetto all'aborto clandestino, ora di fronte all'assenza di regole. Perché invece non può mai essere considerata tale, secondo lei?
    «Il problema della legge 194 è che legalizza l'aborto e lo finanzia: due aspetti molto gravi, perché il "delitto diventa diritto", come ha denunciato varie volte Giovanni Paolo Il. La frase che sentiamo spesso è: "L'aborto è sempre esistito...". È vero. Ma anche l'omicidio è sempre esistito».




    E dunque?
    «Dunque nessuno davanti a un omicidio chiede una legge per "limitarlo" finanziandolo. Mentre oggi si dice dell'aborto: "La 194 ormai esiste, almeno applichiamola bene". Applicare bene quella legge significa uccidere esseri umani, dato che nessuno oggi può affermare che l'embrione non sia un essere umano; infatti, nel 1996 il Comitato di bioetica (un organismo statale, non un ente vaticano) ha dichiarato che l'embrione è uno di noi. Nella 194 - dicono - ci sono anche articoli a difesa della vita. Ma anche questo è un inganno.
    Si tratta di specchietti per le allodole, messi lì a suo tempo per tener buona la parte sana della Dc. Lo Stato difende la gravidanza, si dice, e prescrive di far di tutto per rimuovere le cause dell'aborto: ma chi dovrebbe farlo, in concreto? Da quasi trent'anni seguo mamme in difficoltà e quante volte ho intercettato donne che dal consultorio avevano ricevuto solo il certificato d'aborto!».




    Pure molti cattolici lavorano nei consultori...
    «Ci sono persone che lavorano bene, ma purtroppo in genere l'azione del consultorio non è a tutela della vita e il contatto con le donne ce l'hanno solo i non obiettori. Per rimuovere davvero le cause dell'aborto bisognerebbe ricorrere al volontariato, però la legge lo rende facoltativo e di fatto un intervento non si verifica quasi mai. Le uniche richieste che riceviamo riguardano donne oltre i termini per abortire, casi in cui torniamo utili solo per fare assistenza».




    E la teoria del male minore: cerchiamo almeno di usare tutti i mezzi offerti dalla legge per difendere la vita?
    «Il "male minore" possiamo solo subirlo; se lo scegliamo - invece - è male e basta. Certo, facciamo il massimo perché la 194 funzioni alla meno peggio. Ma come mai in 30 anni nessuno è stato condannato per inosservanza delle supposte parti positive della legge? Perché in realtà essa è stata scritta per promuovere l'aborto, l'autodeterminazione. Il mondo laico è ben felice che si accettino compromessi sulla 194: più noi cediamo, più loro attaccano».




    Ma intanto la legge c'è: che cosa dobbiamo fare, allora? Anche molti cattolici sostengono che non esiste il clima culturale per abrogare la 194.
    «Chi vuoi essere per la vita ha una sola strada da seguire: l'aborto è omicidio, dunque non bisogna smettere di denunciare la legge che lo permette e lo finanzia. Se ci fosse nel Paese una realtà di popolo con una posizione chiara, anche qualche parlamentare potrebbe forse rendersi conto che vale la pena di impegnarsi per diminuire i danni della legge (negli Stati Uniti la battaglia dei pro life costringe alcuni politici a difendere la vita). C'è una responsabilità anche di noi cattolici: a parte le chiare dichiarazioni dei Papi, si tace. Si subisce. E molte donne sono state ingannate dal silenzio: dicono che non avrebbero abortito, se avessero saputo, se fossero state informate».




    Anche i credenti hanno abbassato il livello di guardia sull'aborto?
    «Certamente. Ho parlato più d'una volta con cattolici impegnati, e pochi sono quelli che dicono no all'aborto in modo assoluto. Il silenzio ha causato tutto questo. Perché per molti ciò che è legale è anche morale. Ecco il disastro della 194: ormai si dà per scontato l'aborto, come un fatto acquisito, si sono ingannate le coscienze».




    D'accordo. Ma, se anche dovessimo bandire una crociata, perderemmo ancora: come nel famoso referendum del 1981 (che difatti, secondo molti, fu un errore)...
    «E che cosa perderemmo? Forse guadagneremmo un po' di cultura della vita, un po' di rispetto delle leggi evangeliche... Purtroppo succede l'opposto.
    Il cristiano non è un vincente politico, ma della verità, e questa è una battaglia mai perduta in partenza: la verità può essere calpestata, non distrutta; solo se tacciamo la lasciamo uccidere».




    Non le pare di giocare su un equivoco tra i principi (che per un cristiano restano ovviamente intangibili) e la necessaria mediazione con una società che cristiana invece non è più?
    «Assolutamente no. Se il diritto alla vita fosse un principio solo cattolico, le darei ragione; ma si tratta di un diritto naturale e universale. Che il concepito sia un essere umano è indiscutibile. Che poi di fatto i cattolici (e nemmeno tutti) siano rimasti quasi gli unici a sostenerlo, questo è un male. Certo, viviamo in questa società: ma non siamo obbligati ad accettare l'aborto come principio acquisito.
    Possiamo continuare a combattere, con i mezzi a nostra disposizione. E se fossimo in molti a operare così, la cultura del rispetto della vita si potrebbe diffondere di più e forse avremmo anche qualche risultato concreto».




    È d'accordo con la moratoria sull'aborto?
    La vera moratoria è stata lanciata nel giugno 2007 dalla radio www.fratelloembrione.it , intorno alla quale si stanno costituendo comitati locali; essa propone il blocco della 194 in nome del diritto alla vita dei concepiti. Che poi questa moratoria ottenga risultati o no, almeno la proposta è chiara. E per questo noi da ottobre raccogliamo firme in suo sostegno».




    Appunto: lei sa bene che a volte, a furia di pretendere tutto, alla fine non si ottiene nulla...
    «Questo non lo condivido affatto: quanto più rinunciano a difendere la verità tutt'intera, tanto più vengono considerati estremisti proprio coloro che fanno i compromessi. L'avversario rispetta più il coraggio della verità che non il compromesso. E spesso i cattolici enunciano principi che poi non difendono.
    Introdurre la tattica che impone di rinunciare a dire con chiarezza la verità non è accettabile. I principi sono chiari; chi non li vuole seguire, sarà responsabile dei suoi atti».


    BIBLIOGRAFIA



    Giuseppe Garrone [a cura di], ,.. Ma questo è un figlio. Testimonianze di donne vittime dell'aborto, Gribaudi, 20006.

    Roberto BERETTA
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    La legge della discordia


    Secondo alcuni la 194 è “una buona legge”, o una norma “applicata male”, che ha delle “parti buone”. Ma la realtà è un’altra: quella legge consegna alla madre il diritto di vita e di morte sul figlio innocente.


    La legge 194 del 1978 - dicono alcuni - è stata applicata male, perché avrebbe della parti positive in grado di renderla addirittura "buona", È proprio così? Davvero il Parlamento voleva ottenere determinati risultati che solo un'applicazione errata della legge ha falsato? Cosa dice veramente la legge 194? Ecco una sintesi dei sui effettivi contenuti.




    1. Autodeterminazione
    Sei incinta e vuoi abortire? Recati dal medico di fiducia con il test di gravidanza; il medico ti rilascerà un certificato in cui attesta che sei incinta e che vuoi interrompere la gravidanza; prendi l'appuntamento con l'ospedale e, nel giorno stabilito, presentati per l'aborto: non dovrai pagare e (nella maggior parte dei casi) nemmeno pernottare presso l'ospedale. Nient'altro (articolo 4).
    Nella banalità di questa procedura - così simile a quella che ciascuno di noi può affrontare per piccoli interventi ambulatoriali - sta il nucleo essenziale della legge 194: l'aborto nei primi novanta giorni di gravidanza è totalmente libero.
    Ma non sono necessari specifici motivi per la richiesta di abortire o un pericolo per la salute della donna? No: l'articolo 4 prima elenca i motivi e poi li rende ininfluenti, prevedendo solo che la donna li "accusi", senza pretendere che qualcuno accerti se esistono davvero.
    E l'opera di prevenzione dell'aborto, i tentativi di convincere la donna a non compiere quel gesto, le offerte di aiuto economico, psicologico, sociale? Irrilevanti: anche se il medico o il consultorio tenterà di fare qualcosa, al termine del colloquio dovrà essere rilasciato il certificato che dà diritto alla donna di abortire.
    Quanto all'opera dei consultori, la donna può evitare di recarvisi, rivolgendosi ad un qualunque medico di sua fiducia.
    E il padre del bambino? Non conta: la donna può decidere di tenerlo all'oscuro di tutto.
    È l'autodeterminazione: la donna incinta è lasciata sola, tenuta lontano dal bambino (la legge ne parla solo per menzionare le sue "anomalie o malformazioni"), tenuta lontana dall'uomo che l'ha concepito insieme a lei, tenuta lontana da chiunque potrebbe aiutarla e sostenerla, poiché nei consultori non vi saranno obbiettori (il consultorio rilascia il certificato per abortire), mentre il volontariato è lasciato ai margini, condizionato nella sua azione dai capricci o dai furori ideologici dei dirigenti politici o sanitari. La legge riconosce alla madre il potere assoluto di uccidere il figlio che ha in grembo: e così potrà farlo perché disperata, magari per motivi economici, o perché costretta (da chi rimarrà nell'ombra), o perché i contraccettivi non hanno funzionato, quindi usando l'aborto come contraccettivo di rincalzo (lo fa oltre una donna su quattro), o al contrario perché il figlio non era programmato, è capitato in un "momento sbagliato"... I motivi dell'aborto nei primi tre mesi di gravidanza restano sconosciuti, tanto è vero che quelli che la donna riferisce nel colloquio non vengono nemmeno annotati: in questi trent'anni non esiste alcuna statistica ufficiale che possa documentarli.




    2. Eugenetica
    Dopo i primi tre mesi di gravidanza, la procedura sembra diversa: occorre un certificato medico che attesti un "processo patologico che determini un grave pericolo per la salute fisica e psichica della donna» (articolo 6). La legge, però, include tra i processi patologici le "rilevanti anomalie e malformazioni del nascituro»: e così una diagnosi prenatale sfavorevole (anche di carattere probabilistico) permetterà di ritenere che il "completo benessere psicofisico» - è la definizione della salute psicofisica adottata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità sia messo in pericolo. Gli aborti dopo i primi novanta giorni sono enormemente aumentati in questi trent'anni di applicazione della legge, in corrispondenza del progresso delle tecnologie diagnostiche prenatali: nella gravidanza si scatena ormai una raffinata caccia al bambino imperfetto. Il Ministro della Salute conferma che tutti gli aborti dopo i novanta giorni dipendono dai risultati di diagnosi prenatali, pur sostenendo che non si tratta di legge eugenetica.




    3. Minorenni
    La legge 194 si mostra assai "premurosa" verso le nuove generazioni: le menziona (articolo 2) per permettere la distribuzione dei contraccettivi (anche quelli abortivi, come la pillola del giorno dopo) da parte dei consultori all'insaputa dei genitori; fa poi in modo che il parere dei genitori sull'aborto della figlia minore sia irrilevante: la ragazza può decidere di non avvisarli e, tramite il consultorio, può essere autorizzata dal giudice tutelare (le autorizzazioni vengono concesse nel 98% dei casi!). Nessuna autorizzazione, infine, è necessaria per l'aborto dopo i novanta giorni (articolo 12).




    4. Il bambino scomparso
    "La legge tutela la vita umana dal suo inizio» (articolo 1): è un proclama che già nelle parole utilizzate (si parla in astratto della vita e non in concreto del bambino; non si specifica quale sia l'inizio della vita) fa intuire la volontà opposta. In realtà, la legge "garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile», nel significato di diritto della donna ad abortire per qualunque motivo e in ogni fase della gravidanza (fino a quando interverrà la "possibilità di vita autonoma del feto», articolo 7): e per garantire questo diritto copre la cruda realtà dell'aborto con la espressione "interruzione volontaria della gravidanza» (la pillola del giorno dopo è stata legalizzata proprio facendo leva sulla sigla IVG), distogliendo lo sguardo dal bambino ucciso per concentrarsi sul processo fisiologico che coinvolge la donna; trasformando, invece, lo sguardo di stupore sul bambino nel ventre materno - l'esperienza esaltante dell'ecografia che tanti hanno vissuto - nell'esame severo, cattivo, già pronto ad una decisione di morte.




    5. Le "parti buone" della legge
    Questa legge è integralmente iniqua: è ipocrita nelle sue affermazioni di principio (pone le condizioni, ad esempio, perché l'aborto venga usato come contraccettivo pur proclamando che «l'interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite,) (articolo 1), vede la gravidanza come un problema da risolvere, impedisce una vera prevenzione dell'aborto rendendolo un diritto assoluto. E non si vede per quale motivo la donna dovrebbe astenersi dall'esercizio di un diritto.
    Per prevenire il ricorso all'aborto la legge punta tutto sui consultori pubblici (cui però la donna non è obbligata ad avvalersi e che, comunque, vengono trasformati in uffici in cui si rilascia il certificato per abortire) e sui contraccettivi (articolo 2), ignorando - e dopo 30 anni ancora molti pervicacemente decidono di chiudere gli occhi – che l'effetto è opposto: maggiore è il numero dei consultori, più ampia è la distribuzione dei contraccettivi, maggiore è quello degli aborti, anche delle minorenni.
    Il volontariato per la vita - quello che davvero prende in carico la donna e il suo bambino nella loro integrale umanità - è solo tollerato e privato di ogni diritto: nessun obbligo è previsto per gli enti pubblici di ricorrervi, ma solo una generica possibilità, lasciata ad un giudizio di "idoneità» da parte dei dirigenti sanitari (articolo 2). E così si assiste al chiaro tentativo - che la legge permette - di tenere il volontariato al suo posto, con la concessione di tanto in tanto di un'elemosina, in modo che non disturbi troppo il manovratore.

    Giacomo ROCCHI
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    Loro difendono la vita


    Pontificia Academia pro Vita www.academiavita.org
    «Con il suo Motu proprio "Vitae mysterium" (11.2.1994), Giovanni Paolo II ha istituito la Pontificia Accademia per la Vita (PAV), il cui compito specifico è di:
    a) studiare, in un'ottica interdisciplinare, i problemi riguardanti la promozione e la difesa della vita umana;
    b) formare ad una cultura della vita - per la parte che le è propria - attraverso opportune iniziative e sempre nel pieno rispetto del Magistero della Chiesa;
    c) informare in maniera chiara e tempestiva i responsabili della Chiesa, le varie istituzioni di scienze biomediche e delle organizzazioni socio-sanitarie, i mezzi di comunicazione e la comunità civile in genere, sui risultati più rilevanti delle proprie attività di studio e di ricerca (cfr. Vitae mysterium, n. 4)».


    Movimento Per la Vita italiano www.mpv.org
    «Il Movimento per la Vita si propone di promuovere e di difendere il diritto alla vita e la dignità di ogni uomo, dal concepimento alla morte naturale, favorendo una cultura dell'accoglienza nei confronti dei più deboli ed indifesi e, prima di tutti, il bambino concepito e non ancora nato».


    Associazione Scienza e Vita www.scienzaevita.org
    «... si propone di promuovere e difendere il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale, come fondamento di tutti i diritti umani e quindi della democrazia e [...] di dibattere i temi della ricerca scientifica per quanto attiene alle ricadute sulla vita dell'uomo e della società».


    Comitato Verità e Vita www.comitatoveritaevita.it
    «L'Associazione "Comitato Verità e Vita" nasce dalla presa di coscienza della esimia dignità della persona umana, superiore a tutte le cose, e i cui diritti e doveri sono universali ed inviolabili, con il fine di promuovere il riconoscimento e la difesa della dignità e della vita di ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale».


    Due minuti per la vita www.dueminutiperlavita.info
    «Due minuti al giorno è il tempo sufficiente per aderire alla grande iniziativa di preghiera in difesa della vita nascente che si sta diffondendo in Italia dal 7 ottobre 2005 in occasione della festa e sotto la protezione della Beata Vergine Maria, Regina del Santo Rosario».


    Associazione Difendere la vita con Maria www.advm.org
    «L'Associazione, a partire da una visione cristiana della vita, in sintonia con l'insegnamento e le direttive del Magistero della Chiesa, promuove in tutto il mondo tutte quelle attività culturali, sociali, formative, religiose che ritiene utili alla costruzione di una società basata sul rispetto della vita umana fin dal concepimento».


    Fratello embrione www.fratelloembrione.it
    «"Fratello Embrione" è un format radiofonico nato per mettere in evidenza le ragioni centrali del diritto alla vita».


    Numero verde S.O.S. VITA
    «Nel Natale del 1992 è stato istituito "S.O.S. VITA", un numero verde (1678-13000) riservato a ciascuna delle migliaia di persone troppo sole di fronte a problemi troppo grandi per loro: una gravidanza inattesa o difficile, un neonato che rifiutano o non possono accogliere e rischia di essere "gettato", un aborto che ha lasciato una ferita così profonda da sembrare inguaribile.
    È un servizio ideato e gestito dalla Federazione dei Movimenti per la Vita e dei Centri di aiuto alla Vita, tramite volontari e specialisti che rispondono 24 ore su 24».


    Progetto Gemma www.progettogemma.it
    «Nel corso del 1994, su iniziativa di "Vita Nova" è stato creato il servizio per l'adozione a distanza per madri in difficoltà che prende il nome di "Progetto Gemma". Attraverso questo servizio, gruppi o singoli possono, con un contributo minimo mensile di 160 euro, aiutare la mamma per un periodo minimo di 18 mesi (gli ultimi 6 mesi di gravidanza e i primi 12 mesi di vita del bambino). L'importo si versa direttamente al Centro Aiuto Vita cui si è stati abbinati.
    Per ottenere un'adozione prenatale a distanza basta fare domanda a VITA NOVA - CENTRO ADOZIONE PRENATALE, Via Tonezza 3 - 20147 Milano, tel/fax 02 48702890 , comunicando nome, cognome e indirizzo» .
     
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