V domenica di pasqua

Come Edward mani di forbici

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    Roberto Mezzana

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    I.

    Quarant'anni fa, quando ero poco più di un ventenne, uscì l'ultimo dei capolavori dei Pink Floyd, “The Final Cut”. Era il 1983 e quella era la mia band preferita, avevo tutti i loro dischi e certamente quello fu uno dei gruppi musicali più grandi della storia del rock. Non era chiaro che cosa volessero intendere con quel “Taglio finale”, forse la fine del gruppo (anche se in seguito uscirono altre musiche loro), o più probabilmente la decisione del protagonista del brano che, in preda al dolore e alla disperazione, pensa di suicidarsi per mettere fine alla sofferenza. Proprio quando sta per suicidarsi arriva una telefonata (il cui contenuto non viene svelato) che cambia tutto ed egli desiste dal dare il “taglio finale” alla propria vita. Roger Waters che è il vero autore dell'album (anche se suonato dai Pink Floyd), sembra voler comunicare che quando tutto sembra finito e ci sentiamo sopraffatti dal dolore, avviene qualcosa di inaspettato che cambia la vita.

    Quarant'anni prima, e quindi negli anni quaranta, alla ribalta del mondo dell'arte contemporanea era apparso un nuovo artista con un'innovazione originale con la quale sfidava le convenzioni artistiche del tempo e con le sue tele stimolava una nuova percezione tridimensionale dello spazio e della materia. Si trattava dell'italo-argentino Lucio Fontana con i suoi famosi tagli sulle tele con i quali voleva rompere la superficie tradizionale e esplorare lo spazio e il vuoto fondando così il movimento artistico conosciuto come "Spazialismo", che proponeva appunto una nuova concezione dello spazio nell'arte. Con i suoi tagli fatti con un semplice taglierino, il nostro artista intendeva esplorare le dimensioni fisiche e metafisiche dello spazio, invitando gli spettatori a riflettere sulla loro relazione con l'universo circostante. In questo modo dava un taglio al modo tradizionale di concepire l'arte. Lo stesso Fontana parlava della sua arte come di un'innovazione radicale e come un tentativo di portare l'arte contemporanea verso nuovi orizzonti espressivi e concettuali. Molti fin da subito lo hanno deriso per le sue tele tagliate (chissà quanti hanno pensato: sono capace anch'io di tagliare una tela col taglierino) eppure ancora recentemente in un'asta i suoi “tagli sulle tele” sono stati venduti per milioni di euro.

    II.

    Anche il Vangelo di oggi ci parla di tagli, come ci dice Gesù “il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto”. I tagli del Padre agricoltore, non sono tagli per porre fine a qualcosa ma per ricominciare, sono tagli “terapeutici”, e cioè tagli necessari per ridare vita, per produrre frutti migliori.

    Domenica scorsa dicevamo dell'artigiano kintsugi che, riparando i cocci rotti incollandoli con oro colato, trasforma il danno in bellezza. Allo stesso modo il Padre agricoltore taglia con la maestria di un artista le parti inutili o morte per creare bellezza e vita. Come il protagonista del film “Edward, mani di forbici” interpretato da uno straordinario John Deep, che con le sue mani di forbici, trasformava oggetti insignificanti in opere d'arte. Allo stesso modo, attraverso una buona potatura possiamo trasformare le sfide e i dolori della vita in occasioni per crescere, imparare e creare qualcosa di ancora più bello. Ecco che ciascuno di noi deve decidere cosa deve tagliare nella sua vita per poter sbocciare e produrre frutto. Decidere vuol dire etimologicamente “tagliare via”. Prendere una decisione implica necessariamente dei tagli. La nostra nascita stessa è marcata da un taglio, quello del cordone ombelicale, e questo è solo il primo di tanti tagli che dobbiamo operare lungo la vita. Così pure il taglio cesario è un'incisione necessaria per dare vita. Così fino al taglio finale quando ci separeremo da questo mondo. Ma anche il taglio della morte è una taglio necessario per entrare nella vita eterna.

    Da qui il coraggio di fare dei tagli lungo la nostra esistenza, per generare vita: la cosa importante è quella di rimanere attaccati alla vite o meglio alla vita che è Gesù: “Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. Se siamo staccati dalla vite non serviamo proprio a null'altro. Gesù ha scelto di proposito l'esempio della vite e i tralci che a differenza di altri rami che se staccati dal tronco possono essere utilizzati per fare qualcosa d'altro, i tralci staccati dalla vite non servono proprio a nulla, se non a essere gettati nel fuoco: “Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano”.

    III.
    In conclusione.

    Come abbiamo visto ci sono tagli e tagli: ci sono tagli buoni che danno vita come tagliare le relazioni tossiche, le abitudini nocive (i vizi), stress, cose inutili, un passato che non serve più, tagliare i tradimenti, le infedeltà nei confronti delle persone che ci vogliono bene, tagliare la doppia vita. Sono tagli buoni anche se possono far male all'inizio, come i tagli del chirurgo o di un giardiniere. E poi ci sono tagli cattivi che uccidono, tagliano o meglio tolgono la vita, come il tagliare la gola o le vene, o i tagli autolesionisti e autodistruttivi, o quelli di chi si taglia fuori dal mondo e dalle relazioni con gli altri (come i giovani hikikomori o le persone che si autoisolano), i tagli di chi taglia fuori gli altri dalla propria vita.

    I tagli di cui ci parla il Vangelo oggi sono tagli buoni, tagli terapeutici che solo possono migliorare la nostra vita. Abbiamo il coraggio di individuare tutto ciò che dobbiamo tagliare e quindi decidiamo (e cioè tagliamo) una volta per tutte.

    Forse i nostri tagli non varranno milioni di euro come quelli di Lucio Fontana, né come i “final cut” dei Pink Floyd che nella loro carriera hanno venduto più di 250 milioni di dischi, ma potremo fare come Edward mani di forbici, che ha saputo fare dei veri capolavori con i suoi tagli. Anche noi tagliando ciò che bisogna eliminare e potando ciò che bisogna vivificare possiamo fare della nostra vita un'opera d'arte. Noi non siamo responsabili dell'incipit del romanzo della nostra vita, lo siamo però della sua trama e del suo finale.

    Padre Ezio Lorenzo Bono
     
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