Aprile 2024

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    Roberto Mezzana

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    Venero la Parola di Dio, l’Icona ed il Crocifisso. Traccio sulla mia persona il Segno della mia fede, il Segno della Croce, mi metto alla presenza del Signore che vuole parlarmi.

    Dio della vita, donami la grazia di riconoscerti e di essere tua presenza

    in ogni situazione di dolore, di morte, ma anche di gioia e di vita.

    Tu sei vita!
    (Luca Rubin - Un Minuto con Dio)

    Veni, Sancte Spiritus, Veni, per Mariam.

    Continua la piccola serie di Lectio suggerite dalla lettura di alcuni salmi. Per fare ciò prendiamo liberamente spunto da alcune riflessioni di padre Ubaldo Terrinoni, (OFM cappuccini), raccolte nel suo libro “I salmi insegnano a pregare”.


    LECTIO

    Apro la Parola di Dio e leggo in piedi i brani che mi vengono proposti. Salmo 18 (19)



    vv. 2-7 l’inno a Dio da tutto il creato



    2 I cieli narrano la gloria di Dio,


    l’opera delle sue mani annuncia il firmamento.

    3Il giorno al giorno ne affida il racconto

    e la notte alla notte ne trasmette notizia.

    4Senza linguaggio, senza parole,

    senza che si oda la loro voce,

    5per tutta la terra si diffonde il loro annuncio

    e ai confini del mondo il loro messaggio.

    Là pose una tenda per il sole

    6che esce come sposo dalla stanza nuziale:

    esulta come un prode che percorre la via.

    7Sorge da un estremo del cielo

    e la sua orbita raggiunge l’altro estremo:

    nulla si sottrae al suo calore.



    vv. 8-15 l’inno alla Torah



    8La legge del Signore è perfetta,



    rinfranca l’anima;

    la testimonianza del Signore è stabile,

    rende saggio il semplice.

    9I precetti del Signore sono retti,

    fanno gioire il cuore;

    il comando del Signore è limpido,

    illumina gli occhi.

    10Il timore del Signore è puro,

    rimane per sempre;

    i giudizi del Signore sono fedeli,

    sono tutti giusti,

    11 più preziosi dell’oro,

    di molto oro fino,

    più dolci del miele

    e di un favo stillante.

    12Anche il tuo servo ne è illuminato,

    per chi li osserva è grande il profitto.

    13Le inavvertenze, chi le discerne?

    Assolvimi dai peccati nascosti.

    14Anche dall’orgoglio salva il tuo servo

    perché su di me non abbia potere;

    allora sarò irreprensibile,

    sarò puro da grave peccato.

    15Ti siano gradite le parole della mia bocca;

    davanti a te i pensieri del mio cuore,

    Signore, mia roccia e mio redentore.

    MEDITATIO

    Seduto, rileggo la Parola per più volte, lentamente. Anche la lettura della Parola di Dio è preghiera. Siamo entrati in quella zona più sacra e più lunga del nostro Ritiro On Line: il grande silenzio! Il protagonista è lo Spirito Santo.

    Il modo migliore per assaporare un brano delle Scritture è accoglierlo in noi come un cibo nutriente per il nostro spirito, è avere la certezza che sia Dio a volerci parlare per farci entrare nelle dimensioni del suo disegno di amore e di salvezza. Se ascoltiamo attentamente la Parola potremo entrare in un rapporto vivo con il Padre, per lasciarci plasmare dal suo stesso "cuore"

    Salmo 18 – I cieli narrano la gloria di Dio



    Premessa e struttura letteraria

    Qui siamo alle prese con un inno arioso e solenne che il salmista eleva al Creatore per le meraviglie profuse nel creato, in modo particolare per il sole, astro potentissimo e luminoso, che rispande dovunque la sua luce e il suo fulgore.

    Egli esprime viva gratitudine anche per il dono della Torah, la legge divina, perché con chiarezza di indicazioni di vita illumina la strada che ogni pio fedele deve e vuole percorrere.

    Dunque, due magnifiche realtà: il potente disco solare che sfolgora festoso e illumina e riscalda ogni uomo e l’intero creato (vv. 5b-7), e la legge divina che è un autentico regalo dell’Alto. Questa Torah non è costituita da una fredda e pesante lista di prescrizioni e proibizioni, ma è l’aiuto amoroso e premuroso che Dio offre a ognuno perché cammini nelle vie del giusto e si realizzi pienamente.

    Un esegeta rabbinico del medioevo afferma che «come il mondo non si illumina e vive se non per opera del sole, così l’anima non si sviluppa e non raggiunge la sua pienezza di vita se non attraverso la Torah».

    Nella prima parte del salmo (vv. 1-7) si ha un inno di lode al Creatore, che si eleva a sua gloria da ogni angolo della terra e segnatamente dal sole: l’astro più splendente. È un inno eloquente che ognuno sa udire e interpretare.

    Nella seconda parte (vv. 8-15) viene magnificata la Torah nelle sue qualità, in una specie di litania (è «perfetta, e verace, sicura, retta, limpida, pura, giusta»), segue poi un elenco in cui sono enumerati i frutti che essa produce nell’uomo («fa vivere, rende saggi, allieta il cuore, illumina lo sguardo»).



    Commento vv. 2-7 l’inno a Dio da tutto il creato

    «I cieli narrano la gloria di Dio». Il salmo si apre in modo grandioso e festoso, partendo da tanto in alto, dai cieli: è un plurale nel testo originale, perché i cieli sono più di uno, sovrapposti. Raccontano la gloria di Dio profusa nel creato.

    Tutto ciò che esiste è «opera delle sue mani». Egli non ha bisogno di Iavorare e di faticare per dare vita alle realtà create, gli basta parlare, gli basta dare un ordine e subito le creature rispondono al suo appello e vengono all’esistenza dal nulla. In un altro salmo viene proclamato poeticamente che i cieli sono «opera delle sue dita» (Sal 8,4).

    Le antiche culture politeiste, confinanti con Israele, intrecciavano rapporti religiosi di profonda devozione con i cieli, perché li consideravano come divinità.

    Il popolo di Dio, dietro la guida dei profeti, ha ridotto l’azzurro manto celeste a una semplice e meravigliosa creatura, plasmata sapientemente da Dio. Questo, del resto, lo si trova confermato nel primo capitolo del libro della Genesi (Gen 1,11-12.20). I cieli sono qui personificati e presentati come entusiasti testimoni di quanto Dio ha creato. Essi non si stancano di «narrare», di «annunciare», di «raccontare» a tutti le meraviglie dell’universo.

    Anche il giorno e la notte sono personificati; anzi, nel loro incessante avvicendarsi, avviene che l’uno passa all’altra il compito della lode perché non sia mai interrotta: «il giorno al giorno ne affida il racconto e la notte alla notte ne trasmette notizia» (v. 3).

    Il salmista immagina il giorno e la notte come due cori che si alternano, gareggiando, con melodie coinvolgenti e uniche. Così, lo spazio dei cieli immensi e il tempo scandito dal giorno e dalla notte costituiscono parte indispensabile di una polifonia affascinante e misteriosa.

    Le parole e le note di questa musica si sviluppano in un silenzio profondo, assoluto. In realtà però non si tratta di parole, di frasi articolate e neppure di suoni, per cui il messaggio che viene lanciato non ha bisogno dell’apparato uditivo. E tuttavia è un linguaggio... eloquente! La creazione è la parola di Dio. Basta guardare, contemplare, ascoltare, certo con le orecchie, ma anche e soprattutto con iI cuore e con la mente. «È allora che il silenzio dei cieli — afferma s. Giovanni Crisostomo — diventa una voce più squillante di quella di una tromba; questa voce grida alle nostre orecchie e ai nostri occhi la grandezza di chi li ha fatti» (PG 49,105).

    Il canto silenzioso e solenne della creazione è ben intelligibile ed è alla portata di tutte le menti e di tutti i cuori, perciò «per tutta la terra si diffonde il loro annuncio e ai confini del mondo il loro messaggio» (v. 5). Reca un messaggio che ogni popolo sa agilmente decodificare, perché è al di là di ogni idioma particolare.

    «Si propaga dappertutto e raggiunge i confini del mondo. È un linguaggio intelli- gibile: nessuno può addurre la scusa della lontananza o del fatto che si tratti di una lingua straniera. È una lingua universale, anteriore e capace di superare la confusione di Babele» (L.A. Schökel — C. Carniti).

    L’autore ha presentato fin qui tre importanti e celebrati protagonisti: il firmamento, il giorno e la notte. Ora passa a fermare la sua attenzione e riflessione su un’altra meravigliosa creatura che è il principe del creato: il sole. Probabilmente, alla base del riferimento specifico al fiammeggiante disco solare c’è il richiamo a un inno pagano al dio-sole, dove viene cantato ed esaltato come un eroe invincibile. Anche la cultura egiziana celebrava il dio Aton come dio solare. Qui ovviamente il salmista ha «purificato» il grandioso astro da ogni divinizzazione e lo ha ridotto a una semplice creatura di Dio.

    Lo descrive come un valoroso guerriero, al quale Dio stesso ha costruito una tenda in un luogo sconosciuto e irraggiungibile, perché si riposi: «Là pose una tenda per il sole» (v. 5). In questa tenda, quale stanza nuziale, egli ritempra le sue forze nella notte, e poi al mattino si alza fresco e riposato per riprendere il percorso che gli è stato assegnato.

    Anche altri testi biblici richiamano la stessa immagine: «Coloro che ti amano siano come il sole, quando sorge con tutto lo splendore» (Gdc 5,31);

    «Sorge il sole: si ritirano (i leoncelli) e si accovacciano nelle loro tane. Allora l’uomo esce per il suo lavoro, per la sua fatica fino a sera» (Sal 104,22-23).



    Il sole non parla, non lancia messaggi che sia possibile cogliere con l’udito, ma il suo silenzio e il suo potente e implacabile ardore è più eloquente di ogni parola.

    Nello spazio di un giorno copre la distanza da oriente a occidente: «Sorge da un estremo del cielo e la sua orbita raggiunge l’altro estremo» (v. 7a).

    Lungo il suo cammino rispande generosamente luce, calore ed energia a ogni essere e penetra dovunque: «Nulla si sottrae al suo calore» (v. 7b).

    E tuttavia egli non è libero nel percorrere la sua orbita circolare da un estremo all’altro, perché Dio ha tracciato per lui un preciso itinerario secondo sapienti indicazioni.

    Il maestoso inno della creazione si chiude qui, perché il salmista, dopo aver cantato il sole, passa a esaltare un’altra luce, una luce morale, che illumina potentemente la coscienza di ogni uomo: è la Torah, la legge.



    vv. 8-15 l’inno alla Torah

    Il termine Torah non si riferisce a un codice legislativo, ma indica un vero e proprio insegnamento del Signore e si estende ai primi cinque Iibri della Bibbia, cioè al Pentateuco, all’intero complesso dei precetti mosaici e, in modo più ampio e completo, alla parola di Dio. È un magnifico inno che si articola ordinatamente in due strofe: nella prima (vv. 8-11) il salmista si profonde in una specie di litania che esalta la legge di Dio; nella seconda invece (vv. 12-15) delinea il profilo spirituale del servo della Torah.

    «La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima» (v. 8a), così esordisce il salmista. La legge è perfetta: il termine ebraico vuol dire che è integra e che non manca di alcun elemento costitutivo e, proprio per questo, risulta una guida garantita, perché ognuno proceda sicuro lungo i rischiosi tornanti della vita.

    È un’espressione che trova conferma nel simbolismo biblico della «via»: «La via di Dio è perfetta..., egli ha reso integro il mio cammino» (Sal 18,31.33);

    «chi cammina nella via dell’innocenza, costui sarà al mio servizio» (Sal 101,6); «beato chi è integro nella sua via» (Sal 119,1).

    Nei versetti 8-9 vengono indicati tre sinonimi della Torah: testimonianza, ordini e comandi, che ridondano a beneficio dell’uomo, producendo in lui frutti preziosi: «rendono saggio il semplice, recano gioia al cuore e danno luce agli occhi».

    Ciò vuol dire che la legge educa l’uomo a essere semplice, trasparente, puro, limpido, terso, tutto orientato verso il Signore.

    La legge, inoltre, è fonte di letizia: reca gioia al cuore, perché non risulta affatto come una imposizione pesante e insopportabile, ma come un prezioso aiuto per l’itinerario interiore. La legge, infine, illumina gli occhi della mente, perché invita a riflettere e a ricercare ciò che è meglio.

    Nei versetti 10-11 viene ribadita la perfezione e la purezza della Torah, la quale è limpida e vera senza alcuna ombra di falsità e è immutabile in quanto non necessita di revisione e di aggiornamento. L’autore fa seguire un duplice paragone: la Torah è più preziosa dell’oro e più dolce del miele. Evidentemente, l’oro ne sottolinea la preziosità, il miele la dolcezza. Questa dunque è l’esperienza garantita per chiunque si dispone docilmente alla scuola della Torah.



    Anche i profeti hanno richiami alla scuola della Torah: richiami poetici soprattutto sulla dolcezza della Parola: «Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore» (Ger 15,16);

    «Io mangiai il rotolo: fu per la mia bocca dolce come il miele» (Ez 3,3);

    «Quanto sono dolci al mio palato le tue promesse, più del miele per la mia bocca» (Sal 119,103);

    «Amo i tuoi comandi, più dell’oro, dell’oro più fino» (Sal 119,127).



    Dopo aver magnificato le meraviglie della Torah, il salmista si rivolge in prima persona al Signore, qualificandosi come umile servo della Torah (vv. 12-15). Ovviamente, qui non ha il significato di “schiavo”, bensì di “docile servo”, che vive in intimo rapporto d’intesa con Dio.

    Questo servo si riconosce e si dichiara, in tutta sincerità, molto imperfetto e povero. Si confessa e dice: «la legge è perfetta, però ci sono molte cose che mi restano nascoste; apprezzo e assaporo la legge, ma non riesco a compierla» (L.A. Sehökel — C. Car- niti).

    Sottopone al Signore soprattutto quattro “ombre” morali, quattro pericoli, che lo umiliano e lo disorientano interiormente: le inavvertenze, i peccati commessi per ignoranza, l’orgoglio e il grave peccato.



    Prima di tutto, i peccati commessi senza averne piena consapevolezza; questi possono essere il triste prodotto di cattive inclinazioni, di tendenze e istinti non frenati e non ben gestiti.

    Seguono poi le trasgressioni nascoste, «le colpe che non vedo», cioè tutto ciò che costituisce il frutto amaro di un mondo personale sommerso, recondito, mai esplorato.



    Ma ciò che risulta seriamente preoccupante alla verifica del «servo della Torah» è l’orgoglio, l’arroganza, la ribellione ostinata al progetto di Dio, come avvenne nella vicenda dei nostri progenitori (Gen 3). È la sfida insensata del ribelle, è la superbia, che tende a soggiogare l’uomo e a fargIi commettere una serie interminabile di errori.



    Vi è infine un quarto pericolo che egli vuole assolutamente scongiurare dalla sua vita: il grave peccato: «sarò puro dal grave peccato». Quale? Probabilmente «il grave peccato» è l’idolatria; è con questa espressione infatti che nella Bibbia viene designata «la grave colpa» per eccellenza (Gen 20,9; Es 32,21.30-31; 2Re 17,21).

    Dopo la puntuale e sincera verifica di coscienza, il salmista dichiara la sua profonda sintonia con l’inno alla creazione e con il canto sulla perfezione della legge e termina con una preghiera e un fermo proposito: mettere sempre perfetta sintonia tra parole e pensieri, tra mente e bocca: «Ti siano gradite le parole della mia bocca, davanti a te i pensieri del mio cuore, Signore, mia rupe e mio redentore» (v. 15).



    Attualizzazione: pregare il salmo oggi - la creazione lodi il Signore

    L’universo è un immenso tempio in cui si celebra una incessante liturgia cosmica. Da ogni essere vivente si eleva di continuo l’inno di gloria a Dio. L’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande fanno salire, verso il cielo, da ogni angolo del creato, un inno maestoso.

    Magnificano il creatore i miliardi di stelle disseminate negli abissi spaziali; ognuna di esse si muove precisa e puntuale nella propria orbita. Tutto è disposto e tutto si muove e si articola secondo un divino sapiente disegno.

    Anche l’avvicendarsi della notte e del giorno (il giorno dice azione, dinamismo, vita; la notte dice quiete, riposo, mistero) ci permette di lavorare e di riposare e anche di riflettere su ciò che abbiamo realizzato nella giornata.

    Ebbene, «Il ritmo della natura, della creazione, dovrebbe diventare il ritmo dello spirito, perché c’è il tempo dell’attività e il tempo della riflessione» (F.R. De Gasperis — L. Pacomio). C’è il tempo in cui ci si espone ai caldi raggi del sole nel giorno e c’è il tempo in cui ci si immerge nella notte come in un bagno tonificante di silenzio.

    Ma, ahimé, noi facciamo parte di una generazione distratta, che non si accorge più di nulla e non si stupisce più delle infinite meraviglie del creato. L’uomo dei nostri giorni, uomo della tecnica, dell’informatica e della telematica, dà tutto per scontato. A causa del ritmo elettrizzante del suo «fare», ha perso anche la capacità e la sensibilità di porgere attenzione ai miracoli quotidiani che ci offre la natura e che si compiono dentro di noi. Davvero egli merita il monito che Dio rivolge all’inquieto e ribelle Giobbe: «fermati e considera le meraviglie di Dio» (Gb 37,14).

    Fermati e considera... Ma, purtroppo, l’uomo dei nostri giorni è incapace di fermarsi; subisce la schiavitù del «fare», la schiavitù delle scadenze dell’orologio, l’agenda degli impegni la fa da padrona. Avrebbe bisogno di un supplemento di tempo, perché la giornata di ventiquattro ore non gli basta più. Nel vivo desiderio di guadagnare tempo, ricorre a messaggi e a messaggini, e così volano nell’etere parole, tante, troppe parole da parte di tutti in tutte le direzioni. E, purtroppo, nessuno più ascolta...

    E, ironia della sorte, si assiste a uno sconcertante paradosso. I sociologi, gli psicologi e i teologi sono concordi nel denunciare nell’uomo moderno l’incapacità di comunicare; non riesce a incontrare per dialogare e comunicare. Nonostante le molte presenze che trova dovunque, egli vive un’agghiacciante solitudine. Si sente solo anche quando è stipato nello scompartimento del «metrò».

    Forse per riattivare la comunicabilità bisognerà ripartire dal silenzio: il silenzio eloquente della creazione, il silenzio che scaturisce dalla pienezza della vita interiore, il silenzio come esperienza dell’incontro con Dio. Affidarsi al silenzio, soprattutto quando le parole, invece di scaturire da una pienezza di silenzio, nascono dalla paura del silenzio.



    l’inno alla Torah

    Tutta la creazione si produce incessantemente in una perfetta e suggestiva armonia, perché obbedisce con estrema precisione alle leggi del Signore. Anche gli uomini vivranno un profondo accordo tra loro quando si atterranno con docilità e impegno alle divine disposizioni indicate nella Torah.

    Così, la creazione (rappresentata particolarmente dal sole) e la storia degli uomini (guidata dalla Torah) potranno unirsi in una perfetta intesa per elevare all’unisono una maestosa lode corale.

    Si sa per esperienza che l’assenza di leggi ha come risultato disordine, anarchia, caos, sopraffazione, violenza. . . Al contrario, la presenza e l’osservanza delle leggi determina ordine, rispetto, sicurezza, pace, . . . Le leggi non sono una serie di aride imposizioni, sono invece un aiuto che scongiura pericolose deviazioni dal sentiero della vita e sono un rimedio in caso di smarrimenti nel labirinto delle insidie.

    L’autore del salmo manifesta apertamente tutta la sua gioia per la certezza di avere un preciso complesso di leggi, che gli rivela la volontà di Dio. Con le sue smaglianti dichiarazioni lascia comprendere che in lui non c’è costrizione e forzatura, ma gioia e gratitudine al Signore per questo prezioso dono: «I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido, illumina gli occhi [. . .]; i giudizi del Signore sono fedeli, sono tutti giusti, più preziosi deIl’oro, di molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante» (vv. 9-11).



    È questione di mettere il cuore in tutto ciò che ci viene insegnato.

    ORATIO

    Domando umilmente di poter essere coerente con le indicazioni emerse dalla meditatio. Esprimo fede, speranza, amore. La preghiera si estende e diventa preghiera per i propri amici, per la propria comunità, per la Chiesa, per tutti gli uomini. La preghiera si può anche fare ruminando alcune frasi del brano ripetendo per più volte la frase/i che mi hanno fatto meditare.

    Mi fa bene dirti grazie:

    mi sbalza fuori dalle sterili autocommiserazioni,

    e dalle lamentele che non

    finiscono mai.



    Mi fa bene dirti grazie:
    allarga il mio sguardo,
    sana le ferite,
    satura le asfissie dell'anima.
    Mi fa bene dirti grazie anche
    per le più piccole cose:
    la spiga "appoggiata" sul cielo,
    la voce cristallina del ruscello,
    l'aria che rinfresca la sera.
    Mi fa bene dirti grazie, Signore!

    CONTEMPLATIO

    Avverto il bisogno di guardare solo a Gesù, di lasciarmi raggiungere dal suo mistero, di riposare in lui, di accogliere il suo amore per noi. È l’intuizione del regno di Dio dentro di me, la certezza di aver toccato Gesù. È Gesù che ci precede, ci accompagna, ci è vicino, Gesù solo! Contempliamo in silenzio questo mistero: Dio si fa vicino ad ogni uomo!



    Per Cristo, con Cristo e in Cristo a te, Dio Padre Onnipotente,

    nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti

    i secoli dei secoli. Amen

    ACTIO

    Mi impegno a vivere un versetto di questi brani, quello che mi ha colpito di più. Si compie concretamente un’azione che cambia il cuore e converte la vita. Ciò che si è meditato diventa ora vita! Prego con la Liturgia delle Ore, l’ora canonica del giorno adatta al momento.

    Concludo il momento di lectio recitando con calma la preghiera insegnataci da Gesù: Padre Nostro...
     
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